D'improvviso mi sveglio, disturbato da un lamento: un suono lugubre, di dolore, che non ho mai udito prima. Sono nel mio letto. Mi alzo, apro la finestra e vedo che è pieno giorno, ma non so di che mese o di che anno. Il lamento si ripete, più forte di prima. Percorro il corridoio, esco sul terrazzo, guardo giù in cortile e una scena orribile mi si presenta davanti agli occhi. Arenati sulla pietra, morti o morenti, decine di mammiferi marini bruciano al sole di mezzogiorno. Un enorme capodoglio giace riverso su un fianco, la pelle fessurata e rossa di sangue. Un leone marino si dibatte vicino al cancello, a pochi metri è stesa una foca agonizzante. Scorgo due delfini, un'otaria, altri cetacei di cui non conosco il nome. Mi affretto di sotto, afferro la canna dell'acqua, cerco di salvare le creature sofferenti, ma il calore estivo vanifica i miei sforzi. L'acqua è troppo poca, non c'è nessun mare. I lamenti si affievoliscono, fino a svanire. Non posso fare niente. E' troppo tardi. Mi sveglio.
Stanotte ho fatto un sogno triste. Poi, come ogni mattina dopo colazione, ho letto la rassegna stampa, scoprendo che i capodogli morti qualche giorno fa a Peschici avevano lo stomaco pieno di rifiuti di plastica. Una strana coincidenza, dopo il sogno di stanotte.
Secondo il professor Giuseppe Nascetti, uno dei massimi esperti mondiali di parassitologia ed ecologia marina, chiamato ad indagare sullo spiaggiamento e la morte dei cetacei, gli animali avrebbero scambiato buste di plastica ed altri oggetti dispersi in mare per calamari, cibo di cui sono ghiotti: il capobranco ne aveva lo stomaco pieno, un po' meno altri tre esemplari, mentre altri tre avrebbero semplicemente seguito il branco a morire sulla spiaggia del Gargano per spirito gregario. I rifiuti però potrebbero non essere la causa della morte, dovuta invece al disorientamento causato dall'inquinamento acustico, ritenuto la causa principale degli spiaggiamenti in tutto il mondo.
Qualunque sia la causa non importa: il mare diventa ogni giorno di più lo specchio della nostra civiltà, il ricettacolo degli scarti della nostra società del consumo. Negli sconfinati vortici oceanici i rifiuti, soprattutto plastici, si accumulano, formando immense discariche a cielo aperto. Sonar civili e militari rimbombano negli abissi, facendo impazzire le creature che ci vivono che trovano scampo solo nell'agonia della morte per spiaggiamento. Vaste aree nel delta dei fiumi si trasformano in zone morte, soffocate dalle alghe, in cui nessun essere vivente può sopravvivere. La pesca intensiva trasforma mari e oceani in deserti, privando l'umanità della sua principale fonte di sussistenza. Stragi di mammiferi marini, che rendono le acque del mare rosse di sangue, sono all'ordine del giorno.
In questi giorni gli occhi del mondo sono puntati su Copenaghen. Oggi l'arrivo di Obama era atteso come la seconda venuta di Cristo, con la differenza che Obama non è in grado di compiere miracoli, quando alle sue spalle vi è un paese dominato dalle lobby e da forti interessi economici a cui egli deve chinare la testa obbediente. Il vertice è destinato al fallimento, si parla già di soluzioni di compromesso, di tagli ridotti ai gas serra, di intesa imperfetta, di PIANO B... Secondo me è meglio che gli abitanti di Tuvalu si cerchino una nuova casa in cui vivere, perchè nessun trattato potrà salvarli.
Ma anche se il vertice dovesse avere successo cosa cambierebbe? Forse si riuscirebbe a fermare il global warming, ma non la spirale inarrestabile in cui la nostra civiltà del consumo sta precipitando. Stiamo spremendo il pianeta come un limone, sottoponendo la biosfera ad uno stress senza precedenti, consumando ogni risorsa come se non esistesse un domani, come se non avessimo dei figli che hanno il nostro stesso diritto di vivere una vita felice. Sta svanendo la biodiversità, si stanno esaurendo le risorse idriche ed alimentari, il deserto estende il suo dominio, i nostri rifiuti prendono il posto delle foreste, sostanze tossiche e nocive hanno una diffusione planetaria.
Non sono un negazionista, sono assolutamente convinto che il global warming sia reale, scientificamente provato, di orgine antropica (chi dice il contrario è cieco, ignorante oppure mente -a se stesso e agli altri-), ma sono altresì convinto che esso serva a mascherare uno stato di emergenza che non ha soluzione.
E' da 150 anni che prendiamo il mondo a calci nelle palle e se prima avevamo la scusa di non essercene accorti, ora ne siamo consapevoli. Il modello di sviluppo occidentale è insostenibile in un mondo in cui la pressione demografica è in costante aumento e in cui il raggiungimento del benessere è alla portata di un numero sempre crescente di nazioni.
Lo riesce a capire anche un bambino che se si consuma una risorsa ad un tasso superiore alla sua capacità di reintegro a lungo andare questa risorsa si esaurisce. Eppure continuiamo a farlo. Perchè? Perchè il paese dei balocchi è troppo bello da lasciare, anche quando tutt'intorno non restano altro che rovine e desolazione. Perchè cambiare quando si vive così bene? Perchè dovremmo sacrificarci oggi per un futuro in cui saremo morti?
Non è "naturale" farlo, è molto più naturale sfruttare i nostri bisogni immediati, anche se la conseguenza di non agire subito aumenterà a dismisura il costo per porre rimedio ai danni futuri. Bisogna star male per iniziare a fare qualcosa. E noi occidentali ce la stiamo godendo troppo per cambiare! Sulle rovine del nostro mondo le generazioni a venire dovranno costruirsi un futuro: su montagne di Iphone, monitor LCD, sacchetti di plastica, lavatrici, automobili, lettori MP3 e apriscatole elettrici. Arriverà il giorno in cui, alzando gli occhi da un telequiz, ci renderemo conto di aver trasformato l'unico mondo abitato dell'universo che conosciamo in una cazzo di pattumiera e i nostri figli avranno il diritto di insultarci, per non aver cambiato le cose quando eravamo ancora in tempo: ma i problemi futuri dell'umanità e del pianeta sono secondari rispetto alle incombenze giornaliere o all'ultima puntata di CSI.
Forse c'è una risposta semplice alla domanda posta da Fermi nel 1950 a Los Alamos. "Dove sono tutti quanti?" si chiedeva il grande scienziato. "Se come ritengono in molti la vita è un fenomeno comune nell'universo e la nostra galassia pullula di civiltà intelligenti, perchè fin'ora di esse non abbiamo individuato nessun segno? Perchè non ci hanno contattato?" (questa domanda è nota come Paradosso di Fermi)
La mia risposta è: forse perchè tutte le civiltà si sono auto-annientate prima di poterlo fare, proprio come stiamo facendo noi. Rispetto a qualche anno fa non SPERO più che la nostra civiltà si auto-distrugga, in fondo mi sono reso conto che ci sono tante cose per cui meriterebbe di sopravvivere, ma sono convinto che non si possa fare niente per evitare il destino amaro a cui stiamo andando incontro.
venerdì 18 dicembre 2009
Sogni, balene, global warming, società del consumo e civiltà aliene
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