Neil Gaiman è uno dei miei scrittori preferiti. Lo scoprii quasi per caso qualche anno fa, mentre giravo per il reparto fantasy e fantascienza delle Messaggerie Musicali a Milano (in uno dei tipici giorni in cui avevo lezione, ma nessuna voglia di andarci). Quel giorno mi capitò tra le mani un libro sconosciuto (l'edizione Oscar di Stardust) scritto da un autore sconosciuto: Gaiman? Boh! Mai sentito! Però la copertina era bella, la quarta di copertina stuzzicante e un giudizio di Stephen King sotto al titolo diceva: "Gaiman è un forziere traboccante di storie". Vabbè, proviamo!
Se pensate che ora vi dica che la successiva lettura mi entusiasmò vi sbagliate di grosso: Stardust è un buon romanzo, ma niente di più! Il libro finì su uno scaffale e mi dimenticai di Gaiman per un annetto, fino a quando sentii parlare di American Gods, il suo pluripremiato capolavoro. Lo cercai in libreria, lo lessi tutto d'un fiato e allora fu davvero amore a prima vista! Divorai gli altri romanzi di Neil uno dopo l'altro: I Figli di Anansi (il seguito di American Gods - bello, ma non ai livelli del primo), Buona Apocalisse a Tutti (scritto a quattro mani insieme a Terry Pratchett - un capolavoro e parecchio divertente), Nessun Dove (trasposizione di una sceneggiatura televisiva dello stesso Gaiman - un po' raffazzonato, ma una vera miniera di idee) e Coraline (intrigante - a giugno uscirà il film). Poi cercai per cielo e per terra l'edizione illustrata (da Charles Vess) di Stardust e, grazie ad una gran botta di c... sedere la trovai! Meravigliosa! Infine fu la volta di Sandman (ristampato da Planeta DeAgostini a partire dall'anno scorso) e di una raccolta di racconti intitolata Il cimitero senza lapidi ed altre storie nere: il primo merita i giudizi entusiastici che ha ricevuto dalla critica e dal pubblico e la seconda non è male (tra l'altro conteneva un capitolo in anteprima de Il Figlio del Cimitero). Di Gaiman ho anche apprezzato la trasposizione cinematografica di Stardust (migliore del romanzo - uno dei miei film preferiti) e invece non mi è piaciuto granché il film Mirrormask. Rimangono ancora alcune opere di Neil che non ho letto/visto, ma prima o poi rimedierò!
Come avete potuto constatare alcune opere di Neil mi sono piaciute molto, altre meno, ma una cosa mi colpisce sempre quando leggo uno dei suoi romanzi: l'incredibile fantasia e genuinità in ciò che scrive! Neil Gaiman è il vero Mr. Sandman, il signore dei sogni: nella sua mente c'è magia, la sua penna è capace di aprire la porta verso mondi fantastici e avere tra le mani un libro scritto da lui è sempre una sorpresa! E, visto che Neil è ancora giovane (classe 1960), di sorprese spero di averne ancora tante (tiè, tocchiamoci le... ferro! tocchiamo ferro!).
Parliamo de Il Figlio del Cimitero ora, che se non sbaglio è il titolo che ho messo al post!
Sabato sera stavo girando con Lady A per le stradine di Spotorno e, nella vetrinetta di una libreria, vedo qualcosa che attira la mia attenzione! No! Non ci credo! Non può essere lui! Guardo meglio e... Sì, è proprio lui: l'ultimo libro di Neil! Mi fiondo in libreria trascinandomi dietro Lady A, mi guardo freneticamente in giro alla ricerca del libro e non lo trovo. Allora corro dalla signorina al banco, saltellando come uno scolaretto: "Buonaserahovistounlibroinvetrinamadentrononc'è". "Titolo?" "Ilfigliodelcimiterodineilgaiman." "Aspetti che guardo..." Va a vedere la vetrina. "Sì è l'ultima copia rimasta, gliela prendo?" (sì me la dia me la dia cosa aspetta maledizione!?) "Sì grazie". Sono tornato in albergo coccolando il libro ed accarezzandogli la copertina (spero che Lady A non mi abbia notato), poi l'ho messo sul comodino e sono andato a nanna. Il mattino di domenica sono stato assalito da un amletico dilemma: mi porto in spiaggia il libro di Anne Rice che ho comprato venerdì e che devo finire o il nuovo libro di Neil? "Ma no dai in fondo ho aspettato tanto posso aspettare ancora qualche giorno, devo finire il libro della Rice..." Chissà perchè, arrivato in spiaggia, mi son ritrovato nello zainetto il libro di Neil: dev'essermi caduto dentro per errore! Dato che sabato mi ero scottato praticamente ovunque (naso, petto, coppino, braccia e gambe) ho pensato bene di passare la giornata sotto l'ombrellone: la brezza proveniente dal mare, le focacce liguri, il libro di Neil... Ahhh che relax! Mentre io leggevo i nostri vicini continuavano a spettegolare, ogni tanto Lady A mi chiedeva se stessi ascoltando i loro discorsi, ma ero talmente coinvolto dalla narrazione da non accorgermi del mondo circostante! Di pochi libri posso dire lo stesso! Ora di domenica sera l'avevo finito.
Vediamo ora di farne un'analisi sintetica, anche se i fan-atici (come me) tendono a vedere solo le cose belle e a trascurare i difetti. Il Figlio del Cimitero non è di certo il miglior libro di Gaiman, ma resta comunque un ottimo romanzo, forse più adatto ad un target giovane piuttosto che a un pubblico di adulti.
L'ambientazione. La storia si svolge in un anonimo paesino dell'Inghilterra, ma non l'Inghilterra che tutti conoscono. Dalla penna di Neil Gaiman scaturisce un'ambientazione da racconto dark: cupa, nebbiosa, misteriosa, che ricorda a tratti i film di Tim Burton e le fiabe paurose dei fratelli Grimm. Dietro ogni angolo si nasconde qualcosa, le ombre non stanno mai ferme ed il confine tra realtà e la fantasia è sottile: basta sollevare una lapide per ritrovarsi in un altro mondo.
La trama. Nobody Owens ha solo un anno e mezzo quando la sua famiglia viene sterminata da un misterioso assassino. Sfuggito per miracolo alla morte, egli viene adottato e allevato dai morti che abitano il cimitero in cima alla collina. Nel corso della storia egli imparerà ad usare la magia dei defunti, scoprirà l'identità del misterioso assassino che continua a dargli la caccia e l'oscuro complotto che vi sta dietro, apprenderà segreti sul suo passato e, tra mille avventure, troverà la strada della sua vita. Sotto certi aspetti la storia del romanzo ricorda il Libro della Giungla, con spiriti e mostri al posto di lupi e pantere. Altri elementi, soprattutto verso il finale, si possono invece ricollegare alla saga di Harry Potter. La trama è coinvolgente, parecchio movimentata e mai noiosa: si resta incollati alle pagine del libro dall'inizio alla fine.
I personaggi. Fantasmi, spettri, ghoul, vampiri, mummie alate, lupi mannari, misteriosi assassini... Neil Gaiman attinge a piene mani dall'immaginario popolare per creare il cast dei personaggi della sua storia, ma ribalta tutti i canoni a cui siamo abituati. La maggior parte dei personaggi è caratterizzata solo superficialmente, con pochi tratti: sono come attori su un palcoscenico e spesso si prova il desiderio di saperne di più su di loro. Non si può tuttavia considerare ciò come una mancanza, bensì come una dimostrazione dell'abilità di Gaiman nel creare personaggi interessanti.
La tecnica e lo stile. Non ha molto senso giudicare l'abilità di uno scrittore basandosi sulla traduzione di una sua opera e, lo confesso, non ho adoperato molto spirito critico durante la lettura, tanto ero preso dalla storia. Ciononostante cercherò di fare qualche considerazione. Gaiman ha uno stile sobrio, scorrevole e una grande capacità di mostrare, con le parole giuste, ciò che scrive, senza perdersi in lunghe (e noiose) digressioni. L'immediatezza della scrittura rende la lettura estremamente piacevole. Altro non lo saprei dire perchè dovrei rileggermi il romanzo...
Postille. Il romanzo è stato premiato con la Newbery Medal e da esso verrà tratto un film diretto da Neil Jordan. L'edizione italiana conserva le illustrazioni originali di Dave McKean che non mi hanno per nulla entusiasmato. E per finire quando mia mamma mi ha visto col libro in mano, ha letto il titolo e mi ha chiesto: "Il Figlio del Cimitero? Ma che razza di libri leggi?" Poi se n'è andata scuotendo la testa.
venerdì 29 maggio 2009
Il Figlio del Cimitero di Neil Gaiman
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sabato 23 maggio 2009
Il gatto che cadde dal Sole di Simone Maria Navarra
Ho lasciato questo romanzo nella pila (virtuale) dei romanzi da leggere per dei mesi di fila. Il motivo? Molto semplice: il romanzo esiste solo in formato elettronico ed in mancanza di un lettore di ebook (che potrebbe essere il mio prossimo acquisto tecnologico) trovo la lettura a schermo molto fastidiosa e ben poco rilassante. Alla fine ho deciso di stamparlo: il risultato non è paragonabile ad un libro vero (sono uno di quei maniaci della carta stampata che contribuiscono alla scomparsa della foresta Amazzonica), ma almeno ho potuto gustarmelo stando seduto comodamente sul divano!
Cosa rischiavo di perdermi!
Di romanzi con animali come protagonisti non ne ho letti tanti, ma penso di averne letti abbastanza da poter esprimere un giudizio a riguardo. Il romanzo di Navarra mi è piaciuto, e parecchio. Certo, non è paragonabile ad opere come La Collina dei Conigli di Richard Adams (che è uno dei miei libri preferiti e che penso abbia ispirato Navarra nella stesura del suo romanzo) o Il Gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach, ma è a mio parere migliore di opere (sopravvalutate) come Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda o altri romanzi dello stesso Adams come I cani della peste e merita più attenzione di quanta ne abbia al momento.
L'ambientazione. Il romanzo è ambientato nel mondo dei gatti randagi di Roma, tra vicoli, strade, cassonetti, giardini e autorimesse. I luoghi della città, sempre descritti dal punto di vista dei gatti protagonisti, appaiono al lettore sconosciuti e familiari al tempo stesso. Io a Roma ci son stato solo una volta e non posso dire di conoscere la città, ma di tanto in tanto mi sembrava di riconoscere qualche elemento e questo ha reso la lettura ancora più interessante.
La trama. Nessuno è ancora un cucciolo quando, durante una tempestosa notte d'inverno, viene trovato piangente in un cortile dai gatti di una colonia. Egli troverà tra questi gatti una mamma adottiva e, seppur con qualche difficoltà iniziale, verrà accolto nella comunità dei randagi. Durante lo svolgimento del romanzo egli affronterà varie avventure, che lo porteranno a scoprire segreti sulle sue origini e, in un finale commovente, a trovare la strada della sua vita. La trama è avvincente, il romanzo è lungo al punto giusto e non annoia mai!
I personaggi. Navarra dimostra di conoscere il mondo dei gatti randagi o di essersi documentato a riguardo. Ne risultano personaggi realistici, ben caratterizzati e simpatici. Niente a che fare con gli animali umanizzati dei film Disney, per intenderci.
La tecnica e lo stile. Non mi sento abbastanza esperto da giudicare approfonditamente questo aspetto, ma cercherò di dare un giudizio oggettivo e sintetico. Il romanzo è scorrevole, lo stile semplice e senza fronzoli, si legge che è un piacere. Ogni tanto c'è qualche stortura, qualche scelta stilistica che non condivido, ma sono dettagli. Un editor capace (ma esistono?) in quattro e quattr'otto lo renderebbe perfetto. La maturità artistica dell'autore è evidente.
Che altro mi resta da dire? Leggetevelo! In fondo sono solo 82 pagine, se ve le stampate fronte-retro ci mettete un attimo.
Il romanzo lo trovate qua, disponibile gratuitamente per il download.
Io poi ne ho una copia stampata e, dato che so di sicuro che tra i miei pochi ma fidati lettori c'è qualcuno a cui piacciono i gatti, la presto volentieri!
Cosa rischiavo di perdermi!
Di romanzi con animali come protagonisti non ne ho letti tanti, ma penso di averne letti abbastanza da poter esprimere un giudizio a riguardo. Il romanzo di Navarra mi è piaciuto, e parecchio. Certo, non è paragonabile ad opere come La Collina dei Conigli di Richard Adams (che è uno dei miei libri preferiti e che penso abbia ispirato Navarra nella stesura del suo romanzo) o Il Gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach, ma è a mio parere migliore di opere (sopravvalutate) come Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda o altri romanzi dello stesso Adams come I cani della peste e merita più attenzione di quanta ne abbia al momento.
L'ambientazione. Il romanzo è ambientato nel mondo dei gatti randagi di Roma, tra vicoli, strade, cassonetti, giardini e autorimesse. I luoghi della città, sempre descritti dal punto di vista dei gatti protagonisti, appaiono al lettore sconosciuti e familiari al tempo stesso. Io a Roma ci son stato solo una volta e non posso dire di conoscere la città, ma di tanto in tanto mi sembrava di riconoscere qualche elemento e questo ha reso la lettura ancora più interessante.
La trama. Nessuno è ancora un cucciolo quando, durante una tempestosa notte d'inverno, viene trovato piangente in un cortile dai gatti di una colonia. Egli troverà tra questi gatti una mamma adottiva e, seppur con qualche difficoltà iniziale, verrà accolto nella comunità dei randagi. Durante lo svolgimento del romanzo egli affronterà varie avventure, che lo porteranno a scoprire segreti sulle sue origini e, in un finale commovente, a trovare la strada della sua vita. La trama è avvincente, il romanzo è lungo al punto giusto e non annoia mai!
I personaggi. Navarra dimostra di conoscere il mondo dei gatti randagi o di essersi documentato a riguardo. Ne risultano personaggi realistici, ben caratterizzati e simpatici. Niente a che fare con gli animali umanizzati dei film Disney, per intenderci.
La tecnica e lo stile. Non mi sento abbastanza esperto da giudicare approfonditamente questo aspetto, ma cercherò di dare un giudizio oggettivo e sintetico. Il romanzo è scorrevole, lo stile semplice e senza fronzoli, si legge che è un piacere. Ogni tanto c'è qualche stortura, qualche scelta stilistica che non condivido, ma sono dettagli. Un editor capace (ma esistono?) in quattro e quattr'otto lo renderebbe perfetto. La maturità artistica dell'autore è evidente.
Che altro mi resta da dire? Leggetevelo! In fondo sono solo 82 pagine, se ve le stampate fronte-retro ci mettete un attimo.
Il romanzo lo trovate qua, disponibile gratuitamente per il download.
Io poi ne ho una copia stampata e, dato che so di sicuro che tra i miei pochi ma fidati lettori c'è qualcuno a cui piacciono i gatti, la presto volentieri!
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martedì 19 maggio 2009
Ian Malcolm contro Ronald McDonald
Il Dottor Ian Malcolm (d'ora in avanti Ian) è senza dubbio uno dei personaggi migliori scaturiti dalla penna di Michael Crichton e, insieme ad Obi Wan Kenobi e Bateau, è uno degli eroi della mia infanzia (che a quanto pare non è ancora terminata).
In uno dei miei passi preferiti de "Il Mondo Perduto", Ian parla del destino della specie umana nell'epoca del cyberspazio.
Lo riporto qui di seguito:
Sono pienamente d'accordo con la tendenza messa in luce da Ian, ma non con le estreme conseguenze a cui giunge.
Che i mass media stiano minacciando di estinguere la diversità intellettuale ed il pensiero individuale è cosa ormai talmente nota da apparire banale; è un concetto talmente trito e ritrito da fare ormai parte di quella cultura di massa che il concetto stesso osteggia e denuncia. Detto così è spaventoso, non vi pare?
Sono passati un po' di anni da quando è stato pubblicato Il Mondo Perduto. Se all'epoca la tendenza all'uniformità era agli inizi, il mondo in cui stiamo vivendo oggi diventa ogni giorno più connesso ed omogeneo. La conoscenza sta diventando un'unica entità distribuita basata sulla rete, le differenze regionali (almeno nel mondo occidentale) sono già svanite. Pare proprio che la profezia del Dr. Malcolm si stia avverando un passo alla volta!
Ora, dato che mi piace sparlare della gente becera ed ignorante che passa le giornate a leggere i libri di Licia Troisi mentre guarda il Grande Fratello, addenta Big Mac e beve Coca Cola ascoltando Marco Carta (tutto insieme!), farò qualche esempio di ciò di cui parlo.
Dando un'occhiata alle classifiche dei botteghini, ai dati d'ascolto televisivi e alla top ten dei libri più venduti pare proprio che la gente di cui sopra (come dice il caro Ian) guardi e legga le stesse identiche cose. Inoltre (aggiungo io) ha un pessimo gusto.
Ma si possono gettare 7 euro per vedere film come "San Valentino di Sangue 3D" o "Fast & Furious: solo parti originali"? Molto meglio tenerli da parte in attesa di "Transformers: Revenge of the Fallen"! (sì lo confesso, adoro i Transformers!)
Per non parlare della TV, che ho smesso di vedere quando in Italia arrivò il primo Grande Fratello! Ormai è difficile distinguere i reality show dai telegiornali! (voce del pubblico: sì lo sappiamo, perchè non ci racconti qualcosa di nuovo?)
Lo stesso succede in ambito editoriale. La gente legge sempre meno (voce del pubblico: sì lo sappiamo!!! Che noia!) e quei due libri all'anno che legge (se li legge) sono l'ultimo "capolavoro" di Dan Brown e l'ultimo thriller di Giorgio Faletti ("Io sono Dio"? Ma chi si crede di essere?) O magari, se il pubblico è più giovane, Eragon di Christopher Paolini e Twilight di Stephenie Meyer (voce del pubblico: bravo! Pensavamo che tirassi di nuovo in ballo la povera Licia!).
Quello che ho appena messo in mostra è un fenomeno che si auto-amplifica, un feedback positivo con esiti devastanti per la diversità culturale provocato dall'interazione tra il pubblico e l'industria dell'intrattenimento.
Al pubblico piace qualcosa (ad esempio hobbit e stregoni), allora l'industria dell'intrattenimento si adegua a questi desideri e produce prodotti fatti su misura che si adattino ai suoi gusti (un battaglione di nanetti coi piedoni pelosi e vecchiacci con la barba grigia perchè non se la lavano mai). Nascono così prodotti standardizzati, basati su pattern che si uniformano a ciò che il pubblico richiede. Questi prodotti vengono pubblicizzati in modo massiccio e ciò che esce dagli schemi è invisibile. Quando il pubblico si stufa di mezz'uomini e vecchi barbogi ecco spuntare qualcosa di nuovo! Vampiri! Ed il ciclo si ripete. E' la legge del mercato.
Un discorso a parte meriterebbero i dibattiti di massa (politici, economici, ambientali) che sembrano ormai delle repliche di qualcosa di già visto. I mass media forniscono tesi e antitesi standardizzate. La gente non è più obbligata a pensare. C'è chi pensa al posto suo. Vi ricordate di 1984 di Giorgiorwell? (tutto attaccato) Ecco uguale! LORO controllano i media e alimentano la nostra illusione di essere liberi ed in pericolo! Ma non è vero! Fa tutto parte del sistema! Guerre, accoltellamenti, riscaldamento globale, terrorismo internazionale: è il LORO modo di tenerci sotto controllo! Almeno così si dice... Ma vi pare che siamo sotto il controllo di Silvio? (ciao Silvio!) Eppure potrebbe essere anche lui un LORO meccanismo di controllo. Meditate... meditate... Comunque di politica e regimi parlerò in un altro post sennò rischio di divagare! Teniamo per buona solo l'idea che anche le opinioni della gente, come dice il buon Ian, siano uniformi.
Per finire consideriamo il sistema di valori su cui si basa la nostra società dopo la seconda guerra mondiale, cioè il consumismo. Il successo dell'uomo-consumatore si basa su obiettivi deliranti come l'automobile, i capi firmati ed il telefonino. Obiettivi prettamente materiali ed uniformi che gli impediscono di pensare e distolgono la sua attenzione da cose più importanti, come il senso della vita, dell'universo e di tutto quanto. Se avete visto Fight Club sapete dove sto per andare a parare, quindi mi fermo qua. In fondo anche questo è un discorso già sentito milioni di volte! Basta che lo sommiate ai precedenti.
Ora cercherò di tirare le somme, che 'sto post sta diventando interminabile e rischio di uccidere di noia i pochi lettori che non se ne sono già andati!
Inizierò ponendo una domanda. Se la gente si rende conto che le cose stanno davvero così, perchè non fa qualcosa? Lascio la risposta a Morpheus: "tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo." Sacrosanta verità: vi pare che uno si sveglia alla mattina convinto di cambiare il sistema e poi riesce davvero a farlo? Ci sono i bambini da portare a scuola, la scuola per chi non ha ancora l'età per riprodursi, bisogna andare al lavoro per guadagnare abbastanza soldi per comprare il maxischermo o per andare in vacanza in Thailandia e via discorrendo... Voce del pubblico: mamma mia che banalità! Ma lo sanno tutti! Devi venircelo a dire te?
Concludo. Il Dr. Malcolm ha dunque ragione? I nostri cervelli si stanno gradualmente atrofizzando senza che nemmeno ce ne accorgiamo? L'evoluzione della nostra specie è davvero destinata a fermarsi per colpa di Ronald McDonald? Tra l'altro io odio quel maledetto clown!
La mia risposta è nì. Voce del pubblico: ma che razza di risposta è?
Beh, quello che penso è che le tendenze di cui ho parlato prima siano reali, ma allo stesso tempo che le masse siano sempre esistite. Fino a un secolo fa c'erano masse di analfabeti. Ora ci sono masse che guardano La Fattoria. E' la stessa cosa! Non per questo il mondo finirà! (O forse sì! Ma ciò che intendo è che non è cambiato niente rispetto al passato!)
La rete produce uniformità, ma allo stesso tempo al suo interno ci sono innumerevoli spinte alla diversità ed essa dà voce potenziale a qualsiasi individuo. E di individui intelligenti ce ne sono ancora!
La cosa importante è che la rete resti libera e che questi individui trovino sempre il modo di esprimersi senza essere sommersi dalla massa.
Inoltre ritengo che l'evoluzione futura della nostra specie non sia prevedibile basandosi solo sulla precedente evoluzione biologica. L'evoluzione bio-tecnologica potrebbe rivelare caratteristiche completamente diverse. Oppure no. In fondo Ian potrebbe anche avere ragione...
In uno dei miei passi preferiti de "Il Mondo Perduto", Ian parla del destino della specie umana nell'epoca del cyberspazio.
Lo riporto qui di seguito:
«...Io personalmente ritengo che il cyberspazio rappresenti la fine della nostra specie».
«E perché?».
«Perché implica la fine dell'innovazione. Quest'idea di un mondo interamente cablato significa morte di massa. Tutti i biologi sanno che piccoli gruppi in isolamento si evolvono rapidamente. Metti mille uccelli su un'isola in mezzo all'oceano e la loro evoluzione sarà rapida. Ne metti diecimila su un continente, e l'evoluzione rallenta. Ora, nella nostra specie l'evoluzione si verifica soprattutto attraverso il comportamento. Per adattarci noi lo mutiamo. E, come tutti sanno, l'innovazione si verifica solo in gruppi ristretti. Se hai una commissione formata da tre persone, forse qualcosa si riesce a fare. Con dieci, diventa più difficile. Con trenta, tutto si blocca. Con trenta milioni, diventa impossibile. Questo è l'effetto dei mass media: far sì che nulla succeda. I mass media soffocano la diversità. Rendono uguali tutti i posti, da Bangkok a Tokyo a Londra. C'è un McDonald's in un angolo, un Benetton in un altro, un Gap all'altro lato della strada. Le diversità regionali spariscono. Tutte le differenze si annullano. In un mondo dominato dai mass media, tutto viene a scarseggiare, tranne i dieci libri, i dieci dischi più venduti, i film più visti e le idee più correnti. La gente si preoccupa perché nella foresta pluviale la diversità delle specie è in diminuzione. Ma che dire della diversità intellettuale, che è la risorsa più necessaria? Quella sparisce ancora più in fretta degli alberi. Ma noi non l'abbiamo ancora capito, e così contiamo di unire cinque miliardi di persone nel cyberspazio. E questo congelerà tutta la specie. Tutto si bloccherà. Tutti penseranno le stesse cose nello stesso momento. L'uniformità globale...»
Sono pienamente d'accordo con la tendenza messa in luce da Ian, ma non con le estreme conseguenze a cui giunge.
Che i mass media stiano minacciando di estinguere la diversità intellettuale ed il pensiero individuale è cosa ormai talmente nota da apparire banale; è un concetto talmente trito e ritrito da fare ormai parte di quella cultura di massa che il concetto stesso osteggia e denuncia. Detto così è spaventoso, non vi pare?
Sono passati un po' di anni da quando è stato pubblicato Il Mondo Perduto. Se all'epoca la tendenza all'uniformità era agli inizi, il mondo in cui stiamo vivendo oggi diventa ogni giorno più connesso ed omogeneo. La conoscenza sta diventando un'unica entità distribuita basata sulla rete, le differenze regionali (almeno nel mondo occidentale) sono già svanite. Pare proprio che la profezia del Dr. Malcolm si stia avverando un passo alla volta!
Ora, dato che mi piace sparlare della gente becera ed ignorante che passa le giornate a leggere i libri di Licia Troisi mentre guarda il Grande Fratello, addenta Big Mac e beve Coca Cola ascoltando Marco Carta (tutto insieme!), farò qualche esempio di ciò di cui parlo.
Dando un'occhiata alle classifiche dei botteghini, ai dati d'ascolto televisivi e alla top ten dei libri più venduti pare proprio che la gente di cui sopra (come dice il caro Ian) guardi e legga le stesse identiche cose. Inoltre (aggiungo io) ha un pessimo gusto.
Ma si possono gettare 7 euro per vedere film come "San Valentino di Sangue 3D" o "Fast & Furious: solo parti originali"? Molto meglio tenerli da parte in attesa di "Transformers: Revenge of the Fallen"! (sì lo confesso, adoro i Transformers!)
Per non parlare della TV, che ho smesso di vedere quando in Italia arrivò il primo Grande Fratello! Ormai è difficile distinguere i reality show dai telegiornali! (voce del pubblico: sì lo sappiamo, perchè non ci racconti qualcosa di nuovo?)
Lo stesso succede in ambito editoriale. La gente legge sempre meno (voce del pubblico: sì lo sappiamo!!! Che noia!) e quei due libri all'anno che legge (se li legge) sono l'ultimo "capolavoro" di Dan Brown e l'ultimo thriller di Giorgio Faletti ("Io sono Dio"? Ma chi si crede di essere?) O magari, se il pubblico è più giovane, Eragon di Christopher Paolini e Twilight di Stephenie Meyer (voce del pubblico: bravo! Pensavamo che tirassi di nuovo in ballo la povera Licia!).
Quello che ho appena messo in mostra è un fenomeno che si auto-amplifica, un feedback positivo con esiti devastanti per la diversità culturale provocato dall'interazione tra il pubblico e l'industria dell'intrattenimento.
Al pubblico piace qualcosa (ad esempio hobbit e stregoni), allora l'industria dell'intrattenimento si adegua a questi desideri e produce prodotti fatti su misura che si adattino ai suoi gusti (un battaglione di nanetti coi piedoni pelosi e vecchiacci con la barba grigia perchè non se la lavano mai). Nascono così prodotti standardizzati, basati su pattern che si uniformano a ciò che il pubblico richiede. Questi prodotti vengono pubblicizzati in modo massiccio e ciò che esce dagli schemi è invisibile. Quando il pubblico si stufa di mezz'uomini e vecchi barbogi ecco spuntare qualcosa di nuovo! Vampiri! Ed il ciclo si ripete. E' la legge del mercato.
Un discorso a parte meriterebbero i dibattiti di massa (politici, economici, ambientali) che sembrano ormai delle repliche di qualcosa di già visto. I mass media forniscono tesi e antitesi standardizzate. La gente non è più obbligata a pensare. C'è chi pensa al posto suo. Vi ricordate di 1984 di Giorgiorwell? (tutto attaccato) Ecco uguale! LORO controllano i media e alimentano la nostra illusione di essere liberi ed in pericolo! Ma non è vero! Fa tutto parte del sistema! Guerre, accoltellamenti, riscaldamento globale, terrorismo internazionale: è il LORO modo di tenerci sotto controllo! Almeno così si dice... Ma vi pare che siamo sotto il controllo di Silvio? (ciao Silvio!) Eppure potrebbe essere anche lui un LORO meccanismo di controllo. Meditate... meditate... Comunque di politica e regimi parlerò in un altro post sennò rischio di divagare! Teniamo per buona solo l'idea che anche le opinioni della gente, come dice il buon Ian, siano uniformi.
Per finire consideriamo il sistema di valori su cui si basa la nostra società dopo la seconda guerra mondiale, cioè il consumismo. Il successo dell'uomo-consumatore si basa su obiettivi deliranti come l'automobile, i capi firmati ed il telefonino. Obiettivi prettamente materiali ed uniformi che gli impediscono di pensare e distolgono la sua attenzione da cose più importanti, come il senso della vita, dell'universo e di tutto quanto. Se avete visto Fight Club sapete dove sto per andare a parare, quindi mi fermo qua. In fondo anche questo è un discorso già sentito milioni di volte! Basta che lo sommiate ai precedenti.
Ora cercherò di tirare le somme, che 'sto post sta diventando interminabile e rischio di uccidere di noia i pochi lettori che non se ne sono già andati!
Inizierò ponendo una domanda. Se la gente si rende conto che le cose stanno davvero così, perchè non fa qualcosa? Lascio la risposta a Morpheus: "tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo." Sacrosanta verità: vi pare che uno si sveglia alla mattina convinto di cambiare il sistema e poi riesce davvero a farlo? Ci sono i bambini da portare a scuola, la scuola per chi non ha ancora l'età per riprodursi, bisogna andare al lavoro per guadagnare abbastanza soldi per comprare il maxischermo o per andare in vacanza in Thailandia e via discorrendo... Voce del pubblico: mamma mia che banalità! Ma lo sanno tutti! Devi venircelo a dire te?
Concludo. Il Dr. Malcolm ha dunque ragione? I nostri cervelli si stanno gradualmente atrofizzando senza che nemmeno ce ne accorgiamo? L'evoluzione della nostra specie è davvero destinata a fermarsi per colpa di Ronald McDonald? Tra l'altro io odio quel maledetto clown!
La mia risposta è nì. Voce del pubblico: ma che razza di risposta è?
Beh, quello che penso è che le tendenze di cui ho parlato prima siano reali, ma allo stesso tempo che le masse siano sempre esistite. Fino a un secolo fa c'erano masse di analfabeti. Ora ci sono masse che guardano La Fattoria. E' la stessa cosa! Non per questo il mondo finirà! (O forse sì! Ma ciò che intendo è che non è cambiato niente rispetto al passato!)
La rete produce uniformità, ma allo stesso tempo al suo interno ci sono innumerevoli spinte alla diversità ed essa dà voce potenziale a qualsiasi individuo. E di individui intelligenti ce ne sono ancora!
La cosa importante è che la rete resti libera e che questi individui trovino sempre il modo di esprimersi senza essere sommersi dalla massa.
Inoltre ritengo che l'evoluzione futura della nostra specie non sia prevedibile basandosi solo sulla precedente evoluzione biologica. L'evoluzione bio-tecnologica potrebbe rivelare caratteristiche completamente diverse. Oppure no. In fondo Ian potrebbe anche avere ragione...
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venerdì 15 maggio 2009
Io Scrivo di Simone Maria Navarra
Sarà che ci chiamiamo entrambi Simone, che di secondo nome facciamo Maria (o quasi), che siamo entrambi ingegneri, che ci interessiamo entrambi di scrittura (con risultati un po' diversi) e di fotografia e che se tornassi indietro nel tempo vorrei fare anch'io medicina (no, la seconda laurea non fa per me), ma Simone Maria Navarra mi sta simpatico.
Io scrivo è il suo primo libro pubblicato (sul suo blog trovate altri romanzi e racconti disponibili gratuitamente per il download, tra cui vi segnalo Il Gatto che Cadde dal Sole).
Se scrivere un romanzo è il vostro sogno nel cassetto (ma non avete ancora scritto una riga), volete imparare qualcosa a riguardo (o consolarvi leggendo le disavventure di un altro autore in cerca di pubblicazione) e pure divertirvi, è il libro che fa per voi.
Negli scaffali delle librerie si trovano cumuli di manuali di scrittura! Perchè acquistare proprio questo? Il libro di Navarra ha una peculiarità rispetto agli altri: il suo autore, a differenza di tanti scrittori affermati e un po' pedanti che si cimentano in questo mestiere, è infatti un allegro esordiente. Già questo fatto dovrebbe incuriosirvi.
Se poi aggiungiamo che il libro è scritto con ironia, con un approccio leggero, ma mai superficiale e uno stile accattivante, che tocca diversi temi riguardanti il mondo della scrittura e dell'editoria nel nostro Paese (e non solo), che offre utili suggerimenti a chi vuole cimentarsi nella carriera di scrittore emergente e - last but not least - fa pure un sacco ridere, allora non potete proprio farne a meno.
Ho sperimentato di persona che il libro è di difficile reperibilità in molte librerie (e qui potrei dare il via ad un invettiva contro i librai che, per il vile denaro, riempiono gli scaffali con i libri dei calciatori e quelli di Licia Troisi e trascurano opere degne di nota), ma lo trovate in tutte le librerie online e nei grandi store.
Detto questo non mi resta che augurarvi buona lettura!
Io scrivo è il suo primo libro pubblicato (sul suo blog trovate altri romanzi e racconti disponibili gratuitamente per il download, tra cui vi segnalo Il Gatto che Cadde dal Sole).
Se scrivere un romanzo è il vostro sogno nel cassetto (ma non avete ancora scritto una riga), volete imparare qualcosa a riguardo (o consolarvi leggendo le disavventure di un altro autore in cerca di pubblicazione) e pure divertirvi, è il libro che fa per voi.
Negli scaffali delle librerie si trovano cumuli di manuali di scrittura! Perchè acquistare proprio questo? Il libro di Navarra ha una peculiarità rispetto agli altri: il suo autore, a differenza di tanti scrittori affermati e un po' pedanti che si cimentano in questo mestiere, è infatti un allegro esordiente. Già questo fatto dovrebbe incuriosirvi.
Se poi aggiungiamo che il libro è scritto con ironia, con un approccio leggero, ma mai superficiale e uno stile accattivante, che tocca diversi temi riguardanti il mondo della scrittura e dell'editoria nel nostro Paese (e non solo), che offre utili suggerimenti a chi vuole cimentarsi nella carriera di scrittore emergente e - last but not least - fa pure un sacco ridere, allora non potete proprio farne a meno.
Ho sperimentato di persona che il libro è di difficile reperibilità in molte librerie (e qui potrei dare il via ad un invettiva contro i librai che, per il vile denaro, riempiono gli scaffali con i libri dei calciatori e quelli di Licia Troisi e trascurano opere degne di nota), ma lo trovate in tutte le librerie online e nei grandi store.
Detto questo non mi resta che augurarvi buona lettura!
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mercoledì 13 maggio 2009
Musica, matematica e Dio
Mi capita spesso di provare disgusto per la razza umana. Quando vedo la natura maltrattata, il pianeta spremuto come un agrume, gli uomini che si ammazzano per futili motivi, vorrei davvero che qualche catastrofe ci spazzasse tutti via, restituendo la Terra all'evoluzione biologica in attesa che dalle nostre ceneri sorga una razza di esseri pensanti migliori di noi.
Poi però mi capita di pensare a quali altezze vertiginose, di tanto in tanto, l'umano ingegno sia capace di raggiungere. Penso a Mozart, a Beethoven, a Vivaldi, ad Elvis (a Marco Carta decisamente no). Non è vero che sguazziamo sempre nel fango. Siamo anche capaci di creazioni meravigliose e una di queste, l'avrete ormai capito, è la musica.
La musica è una delle più eccelse opere dell'uomo. Essa è capace di far vibrare le nostre corde più profonde, di emozionarci, di renderci tristi, allegri, riflessivi, esaltati, eccitati, di catapultarci in mondi magici, di creare visioni.
Alcuni delle più belle immagini della letteratura e del cinema sono ispirate alla musica.
Mi vengono in mente le Cronache di Narnia, quando il leone Aslan crea il mondo e tutti gli esseri viventi cantando una melodia meravigliosa, oppure gli alieni di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, che proprio con la musica stabiliscono il primo contatto con gli uomini.
E i musical? E le colonne sonore? Il cinema stesso senza musica non esisterebbe! Cosa sarebbe Star Wars senza la Marcia Imperiale? DUM DUM DUM DUDUDUM DUDUDUM. Per non parlare dell'opera lirica.
E che dire della religione? Gli antichi pensavano che le sfere celesti, girando, producessero una musica soave. L'attributo divino della musica caratterizza tutte le culture e le civiltà. La musica è il linguaggio per comunicare con Dio: basta pensare ai canti gregoriani o ai mantra induisti. La musica è capace di elevarci al di sopra della contingenza e della bassezza della nostra carne, verso un regno più spirituale.
Quale terribile perdita sarebbe un mondo senza musica! Se noi scomparissimo, l'Universo perderebbe qualcosa di stupendo ed inimitabile, anche se in tutto il cosmo fossimo i soli ad ascoltarla e a comprenderla!
Nello spazio, verso stelle lontane, dovremmo sparare, sulla cresta delle onde elettromagnetiche, le sinfonie di Mozart! Così, se un giorno dovessimo scomparire, il nostro ricordo continuerebbe a viaggiare per milioni di anni luce fino a raggiungere qualcuno capace di captarlo. E se questa intelligenza aliena fosse capace di comprendere il messaggio che le arriva, quale firma meravigliosa lasceremmo, noi litigiosi, meschini, animaleschi esseri umani nel cosmo.
Parlando di alieni mi è sorta una domanda: qualcun altro nel cosmo sa cosa sia la musica?
O, meglio ancora, essa è propria dell'uomo o esiste già in natura? Domanda bizzarra, dite voi?
Ma non c'è forse musica nel mondo inanimato? Il ticchettio della pioggia, il rombo del tuono, lo sciacquio delle onde, il vento che soffia...
La musica non è espressione della vita? Il canto degli uccelli, l'ululato dei lupi, il richiamo delle balene...
Forse noi umani abbiamo semplicemente preso qualcosa che esiste già, perfezionandolo, rendendolo sublime.
Fin dall'antichità si studia il rapporto tra la musica e la matematica, i primi a farlo furono i pitagorici. Christoph Mizler, un allievo di Bach, diceva che "la musica è il suono della matematica". E dato che la matematica è la chiave di comprensione della natura e dell'Universo, la musica diventa espressione universale di questa armonia.
Forse sono andato troppo oltre, ma... Dio e la matematica. La matematica e la musica. Dio e la musica. Mi piace pensare alla musica come al riverbero del canto divino che ha dato vita al cosmo; un po' come l'AUM, il suono primordiale da cui, secondo gli indù, è scaturita la creazione, la quale è manifestazione stessa di questo suono. Noi umani, che del creato facciamo parte, partecipiamo con la musica a questa divinità immanente.
Soli deo gloria, unicamente per la gloria di Dio, questo era il motto che Bach inseriva alla fine di ogni sua cantata sacra. Citando Piergiorgio Odifreddi, egli doveva aver capito che, se la matematica è il linguaggio che si parla in Paradiso, canoni e fughe devono essere la musica che là va di moda.
Poi però mi capita di pensare a quali altezze vertiginose, di tanto in tanto, l'umano ingegno sia capace di raggiungere. Penso a Mozart, a Beethoven, a Vivaldi, ad Elvis (a Marco Carta decisamente no). Non è vero che sguazziamo sempre nel fango. Siamo anche capaci di creazioni meravigliose e una di queste, l'avrete ormai capito, è la musica.
La musica è una delle più eccelse opere dell'uomo. Essa è capace di far vibrare le nostre corde più profonde, di emozionarci, di renderci tristi, allegri, riflessivi, esaltati, eccitati, di catapultarci in mondi magici, di creare visioni.
Alcuni delle più belle immagini della letteratura e del cinema sono ispirate alla musica.
Mi vengono in mente le Cronache di Narnia, quando il leone Aslan crea il mondo e tutti gli esseri viventi cantando una melodia meravigliosa, oppure gli alieni di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, che proprio con la musica stabiliscono il primo contatto con gli uomini.
E i musical? E le colonne sonore? Il cinema stesso senza musica non esisterebbe! Cosa sarebbe Star Wars senza la Marcia Imperiale? DUM DUM DUM DUDUDUM DUDUDUM. Per non parlare dell'opera lirica.
E che dire della religione? Gli antichi pensavano che le sfere celesti, girando, producessero una musica soave. L'attributo divino della musica caratterizza tutte le culture e le civiltà. La musica è il linguaggio per comunicare con Dio: basta pensare ai canti gregoriani o ai mantra induisti. La musica è capace di elevarci al di sopra della contingenza e della bassezza della nostra carne, verso un regno più spirituale.
Quale terribile perdita sarebbe un mondo senza musica! Se noi scomparissimo, l'Universo perderebbe qualcosa di stupendo ed inimitabile, anche se in tutto il cosmo fossimo i soli ad ascoltarla e a comprenderla!
Nello spazio, verso stelle lontane, dovremmo sparare, sulla cresta delle onde elettromagnetiche, le sinfonie di Mozart! Così, se un giorno dovessimo scomparire, il nostro ricordo continuerebbe a viaggiare per milioni di anni luce fino a raggiungere qualcuno capace di captarlo. E se questa intelligenza aliena fosse capace di comprendere il messaggio che le arriva, quale firma meravigliosa lasceremmo, noi litigiosi, meschini, animaleschi esseri umani nel cosmo.
Parlando di alieni mi è sorta una domanda: qualcun altro nel cosmo sa cosa sia la musica?
O, meglio ancora, essa è propria dell'uomo o esiste già in natura? Domanda bizzarra, dite voi?
Ma non c'è forse musica nel mondo inanimato? Il ticchettio della pioggia, il rombo del tuono, lo sciacquio delle onde, il vento che soffia...
La musica non è espressione della vita? Il canto degli uccelli, l'ululato dei lupi, il richiamo delle balene...
Forse noi umani abbiamo semplicemente preso qualcosa che esiste già, perfezionandolo, rendendolo sublime.
Fin dall'antichità si studia il rapporto tra la musica e la matematica, i primi a farlo furono i pitagorici. Christoph Mizler, un allievo di Bach, diceva che "la musica è il suono della matematica". E dato che la matematica è la chiave di comprensione della natura e dell'Universo, la musica diventa espressione universale di questa armonia.
Forse sono andato troppo oltre, ma... Dio e la matematica. La matematica e la musica. Dio e la musica. Mi piace pensare alla musica come al riverbero del canto divino che ha dato vita al cosmo; un po' come l'AUM, il suono primordiale da cui, secondo gli indù, è scaturita la creazione, la quale è manifestazione stessa di questo suono. Noi umani, che del creato facciamo parte, partecipiamo con la musica a questa divinità immanente.
Soli deo gloria, unicamente per la gloria di Dio, questo era il motto che Bach inseriva alla fine di ogni sua cantata sacra. Citando Piergiorgio Odifreddi, egli doveva aver capito che, se la matematica è il linguaggio che si parla in Paradiso, canoni e fughe devono essere la musica che là va di moda.
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lunedì 11 maggio 2009
Iblard Jikan: sognare ad occhi aperti
Ci sono molte opere (del cinema, della letteratura, dell'animazione) che purtroppo non arrivano in Italia. Iblard Jikan è una di queste, ed è un vero peccato. (Maledetti Pokemon: loro invece ce l'hanno fatta!)
L'opera, un cortometraggio d'animazione prodotto dallo Studio Ghibli (la casa di produzione del Maestro Hayao Miyazaki - di cui presto parlerò in un altro post), è uscita in Giappone in formato Blu-Ray nel 2007. Ho fatto una veloce ricerca su Internet, ma non sono riuscito a trovarla in vendita nel nostro Paese. Poco male: la potete scaricare in HD sia dal Mulo che dal Torrente e, dato che non è disponibile in Italia, senza violare nessun diritto d'autore (almeno credo).
Iblard Jikan non è un vero e proprio film d'animazione, lo si può considerare piuttosto una forma di arte animata. L'opera è basata sui dipinti del maestro giapponese Naohisa Inoue, a cui gli artisti dello Studio Ghibli hanno "dato vita". Il maestro stesso si è occupato della regia.
L'opera non ha una trama definita, durante la visione lo spettatore viene catapultato nel mondo fantastico di Iblard. Davanti agli occhi scorrono paesaggi a volte quotidiani, a volti alieni, la maggior parte delle volte onirici, assurdi, magici e fiabeschi, ma sempre meravigliosi e mozzafiato. Il passaggio da un luogo all'altro avviene con una semplice dissolvenza e l'impressione di trovarsi in un sogno è molto forte.
A completare l'atmosfera ci pensano le musiche, suggestive, ipnotiche e nostalgiche, del compositore giapponese Kiyonori Matsuo.
Iblard Jikan è una goduria per gli occhi e per le orecchie, trenta minuti di totale evasione dalla realtà che lasciano incantati, da apprezzare assolutamente in alta definizione e con un impianto audio adeguato. Io l'ho rivisto con il mio videoproiettore 720p e l'impianto audio 5.1: l'esperienza è stata coinvolgente. Su Youtube si trova l'opera integrale, ma vi sconsiglio di guardarla perchè perdereste gran parte della magia.
Devo aggiungere che il film è capace di trasmettere una profonda sensazione di calma e di relax ed è l'ideale se siete un po' stressati e nervosi. Qualcun'altro potrebbe invece trovarlo soporifero: il consiglio che in tal caso vi do è di sostituirlo al Valium... Ronf ronf
Mentre scrivevo me lo sono riguardato per calarmi nella giusta atmosfera: ora il film è finito, chiudo il post e me ne vado a dormire. Buonanotte e sogni d'oro!
Iblard Jikan su Wikipedia.
Il sito ufficiale di Inoue.
L'opera, un cortometraggio d'animazione prodotto dallo Studio Ghibli (la casa di produzione del Maestro Hayao Miyazaki - di cui presto parlerò in un altro post), è uscita in Giappone in formato Blu-Ray nel 2007. Ho fatto una veloce ricerca su Internet, ma non sono riuscito a trovarla in vendita nel nostro Paese. Poco male: la potete scaricare in HD sia dal Mulo che dal Torrente e, dato che non è disponibile in Italia, senza violare nessun diritto d'autore (almeno credo).
Iblard Jikan non è un vero e proprio film d'animazione, lo si può considerare piuttosto una forma di arte animata. L'opera è basata sui dipinti del maestro giapponese Naohisa Inoue, a cui gli artisti dello Studio Ghibli hanno "dato vita". Il maestro stesso si è occupato della regia.
L'opera non ha una trama definita, durante la visione lo spettatore viene catapultato nel mondo fantastico di Iblard. Davanti agli occhi scorrono paesaggi a volte quotidiani, a volti alieni, la maggior parte delle volte onirici, assurdi, magici e fiabeschi, ma sempre meravigliosi e mozzafiato. Il passaggio da un luogo all'altro avviene con una semplice dissolvenza e l'impressione di trovarsi in un sogno è molto forte.
A completare l'atmosfera ci pensano le musiche, suggestive, ipnotiche e nostalgiche, del compositore giapponese Kiyonori Matsuo.
Iblard Jikan è una goduria per gli occhi e per le orecchie, trenta minuti di totale evasione dalla realtà che lasciano incantati, da apprezzare assolutamente in alta definizione e con un impianto audio adeguato. Io l'ho rivisto con il mio videoproiettore 720p e l'impianto audio 5.1: l'esperienza è stata coinvolgente. Su Youtube si trova l'opera integrale, ma vi sconsiglio di guardarla perchè perdereste gran parte della magia.
Devo aggiungere che il film è capace di trasmettere una profonda sensazione di calma e di relax ed è l'ideale se siete un po' stressati e nervosi. Qualcun'altro potrebbe invece trovarlo soporifero: il consiglio che in tal caso vi do è di sostituirlo al Valium... Ronf ronf
Mentre scrivevo me lo sono riguardato per calarmi nella giusta atmosfera: ora il film è finito, chiudo il post e me ne vado a dormire. Buonanotte e sogni d'oro!
Iblard Jikan su Wikipedia.
Il sito ufficiale di Inoue.
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sabato 9 maggio 2009
Guida Galattica per Ricercatori - Prima puntata: la storia del ricercatore al guinzaglio
Oggi, tornando dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Torino (mi son preso una bella insolazione a stare in pista coi trattori), stavo pensando che è passato quasi un anno da quando è iniziata la mia esperienza nel mondo della ricerca.
In questo periodo di tempo penso di aver imparato tante cose (e di ignorarne altrettante), ma di una cosa ormai son sicuro: in Italia c'è tanta ignoranza e disinformazione a riguardo. I media tendono troppo spesso a generalizzare e a creare miti. Purtroppo si sa che il modo di fare informazione in Italia è questo... E non c'è niente da fare!
Mi è dunque venuta una brillante idea: iniziare una piccola rubrica in cui raccontare tutte le mie esperienze di quest'ultimo anno. Se poi avrò tempo e voglia vorrei anche fare qualche intervista, su temi specifici, ad altre persone che lavorano in questo mondo affascinante e di cui tanto si discute. Vedremo un po' come va.
Scrivendo cercherò di attenermi il più possibile ai fatti, di sottolineare quali siano le mie opinioni personali (in quanto tali opinabili) e, se possibile, di presentare anche qualche numero.
Ma andiam ad iniziar... Trallallero trallallà!
In questa prima puntata vorrei parlare di una questione a dir poco scottante, quella della dipendenza dell'Università e degli istituti di ricerca dai finanziamenti delle aziende, ovvero
Prima di iniziare bisogna fare una distinzione fondamentale. Ci sono due tipi di ricerca: la ricerca di base e la ricerca applicata.
La ricerca di base è la ricerca fine a se stessa. Ciò non vuol dire che sia inutile, tutt'altro, ma essa non ha un diretto risvolto pratico ed economico! (Ahi ahi ahi qui iniziano i guai!) Il suo obiettivo principale è aumentare la conoscenza, senza scopi pratici in mente. Se poi ci sono ricadute applicative tanto meglio. Essa è la vera ricerca, quella iniziata da Galileo Galilei (che salutiamo!) e continuata da Newton, Einstein, Hawking e tanti altri scienziati e ricercatori meno conosciuti, ma non meno importanti.
La ricerca applicata ha invece come obiettivo trovare soluzioni a problemi pratici e specifici ed è quella che piace tanto ai partner industriali. Essa sfrutta la conoscenza a fini pratici.
In Italia si fa tanta ricerca applicata, ma pochissima ricerca di base. I motivi sono ovvi. I finanziamenti da parte dello Stato sono scarsi e la maggior parte dei soldi arriva dalle aziende. Ma le aziende mica danno i finanziamenti per fare del bene. Nossignore! Lo fanno per avere qualcosa in cambio. Così succede che i ricercatori per sopravvivere sono costretti a trovarsi dei partner industriali, ma che spesso e volentieri questi partner fanno sentire la loro ingerenza e prendono i ricercatori al guinzaglio.
Io penso che la ricerca debba essere il più possibile libera da queste ingerenze, ma purtroppo ci sono persone che la pensano in modo diametralmente opposto. C'è chi pensa che la ricerca sia solo un mezzo e non un fine, che essa sia qualcosa di accessorio, ma che a volte fa tanto comodo e che chi fa ricerca di base sia solo un perditempo e un fannullone.
Per dimostrare che so di cosa parlo ora vi proporrò qualche esempio.
Tempo fa discutevo con il mio amico Aga della scarsità di attrezzature al DEI (Dipartimento di Elettronica e di Informazione del Politecnico di Milano), dove ho collaborato per diversi mesi, rispetto all'opulenza del Dipartimento di Meccanica nel Campus Bovisa, dove egli attualmente studia. Come si spiega questo fatto? Presto detto: il Dipartimento di Meccanica possiede una bellissima Galleria del Vento, che è richiesta da un sacco di aziende: per poterla usare le aziende pagano fior di quattrini ed ecco i finanziamenti serviti su un piatto d'argento! Nel laboratorio del DEI bisogna invece fare i salti mortali per trovare un alimentatore, un multimetro o anche solo qualche semplice cavetto!
Prima di trarre una conclusione, voglio fare un altro esempio che riguarda la sede di Treviglio del CRA (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura), dove collaboro attualmente. Il centro, che si occupa di meccanizzazione agricola, possiede un banco per la simulazione strada molto avanzato e costoso. Questo banco attira molte aziende, che pagano per usarlo ed in tal modo finanziano il centro.
Ora voi direte? Che male c'è? Io vi dico: un male c'è. Perchè un centro di ricerca rischia di diventare, ai fini della sopravvivenza, un fornitore di servizi. I ricercatori passano ore ed ore a lavorare per le aziende, quando invece dovrebbero fare tutt'altro.
A quanto mi dicono, questo accade anche in molti dipartimenti del CNR, in cui si passa più tempo ad offrire servizi piuttosto che a fare ricerca.
Fin'ora ho parlato di aziende che sfuttano le attrezzature dei centri di ricerca, ora invece voglio parlare un po' dei progetti di ricerca che vengono effettuati. Il mio gruppo di ricerca al Politecnico aveva (anzi ha) diversi partner aziendali: FIAT, Aprilia, MV Agusta, etc. I progetti in collaborazione sono numerosi. Ma che accade? Dato che sono le aziende ad avere il coltello dalla parte del manico (i finanziamenti), esse tentano spesso di trasformare il centro di ricerca/università nel proprio personale schiavetto che deve ricercare ciò che vogliono loro. Ho scritto tentano, perchè non so quanto ci riescano, ma di sicuro l'influenza si fa sentire.
Purtroppo in Italia sono poche le aziende che fanno ricerca al loro interno. Sfruttare le università o altri centri di ricerca fa molto comodo. Tempo fa ho avuto l'occasione di passare un po' di tempo all'Università degli Studi di Bergamo e mi sono stupito per la grande disponibilità di attrezzature, laboratori e strumenti ivi presente. Allora mi son domandato: perchè un'università relativamente nuova e provinciale (dopo quest'affermazione sento i 300000 bergamaschi col fucile che bussano alla mia porta) è molto più ricca di un'università storica come il Politecnico? La risposta mi è arrivata poco tempo dopo: a Bergamo ci sono un sacco di aziende interessate ad un'università che "lavori" per loro. Mistero risolto.
Riassunto di tutto il discorso: in Italia, da quel che ho potuto constatare, le aziende comandano a bacchetta gran parte della ricerca.
Chiudo qui la prima puntata e vi invito, se ho scritto qualche cazzata (com'è probabile), a farmelo presente senza esitare.
Alla prossima puntata.
In questo periodo di tempo penso di aver imparato tante cose (e di ignorarne altrettante), ma di una cosa ormai son sicuro: in Italia c'è tanta ignoranza e disinformazione a riguardo. I media tendono troppo spesso a generalizzare e a creare miti. Purtroppo si sa che il modo di fare informazione in Italia è questo... E non c'è niente da fare!
Mi è dunque venuta una brillante idea: iniziare una piccola rubrica in cui raccontare tutte le mie esperienze di quest'ultimo anno. Se poi avrò tempo e voglia vorrei anche fare qualche intervista, su temi specifici, ad altre persone che lavorano in questo mondo affascinante e di cui tanto si discute. Vedremo un po' come va.
Scrivendo cercherò di attenermi il più possibile ai fatti, di sottolineare quali siano le mie opinioni personali (in quanto tali opinabili) e, se possibile, di presentare anche qualche numero.
Ma andiam ad iniziar... Trallallero trallallà!
In questa prima puntata vorrei parlare di una questione a dir poco scottante, quella della dipendenza dell'Università e degli istituti di ricerca dai finanziamenti delle aziende, ovvero
LA STORIA DEL RICERCATORE AL GUINZAGLIO
Prima di iniziare bisogna fare una distinzione fondamentale. Ci sono due tipi di ricerca: la ricerca di base e la ricerca applicata.
La ricerca di base è la ricerca fine a se stessa. Ciò non vuol dire che sia inutile, tutt'altro, ma essa non ha un diretto risvolto pratico ed economico! (Ahi ahi ahi qui iniziano i guai!) Il suo obiettivo principale è aumentare la conoscenza, senza scopi pratici in mente. Se poi ci sono ricadute applicative tanto meglio. Essa è la vera ricerca, quella iniziata da Galileo Galilei (che salutiamo!) e continuata da Newton, Einstein, Hawking e tanti altri scienziati e ricercatori meno conosciuti, ma non meno importanti.
La ricerca applicata ha invece come obiettivo trovare soluzioni a problemi pratici e specifici ed è quella che piace tanto ai partner industriali. Essa sfrutta la conoscenza a fini pratici.
In Italia si fa tanta ricerca applicata, ma pochissima ricerca di base. I motivi sono ovvi. I finanziamenti da parte dello Stato sono scarsi e la maggior parte dei soldi arriva dalle aziende. Ma le aziende mica danno i finanziamenti per fare del bene. Nossignore! Lo fanno per avere qualcosa in cambio. Così succede che i ricercatori per sopravvivere sono costretti a trovarsi dei partner industriali, ma che spesso e volentieri questi partner fanno sentire la loro ingerenza e prendono i ricercatori al guinzaglio.
Io penso che la ricerca debba essere il più possibile libera da queste ingerenze, ma purtroppo ci sono persone che la pensano in modo diametralmente opposto. C'è chi pensa che la ricerca sia solo un mezzo e non un fine, che essa sia qualcosa di accessorio, ma che a volte fa tanto comodo e che chi fa ricerca di base sia solo un perditempo e un fannullone.
Per dimostrare che so di cosa parlo ora vi proporrò qualche esempio.
Tempo fa discutevo con il mio amico Aga della scarsità di attrezzature al DEI (Dipartimento di Elettronica e di Informazione del Politecnico di Milano), dove ho collaborato per diversi mesi, rispetto all'opulenza del Dipartimento di Meccanica nel Campus Bovisa, dove egli attualmente studia. Come si spiega questo fatto? Presto detto: il Dipartimento di Meccanica possiede una bellissima Galleria del Vento, che è richiesta da un sacco di aziende: per poterla usare le aziende pagano fior di quattrini ed ecco i finanziamenti serviti su un piatto d'argento! Nel laboratorio del DEI bisogna invece fare i salti mortali per trovare un alimentatore, un multimetro o anche solo qualche semplice cavetto!
Prima di trarre una conclusione, voglio fare un altro esempio che riguarda la sede di Treviglio del CRA (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura), dove collaboro attualmente. Il centro, che si occupa di meccanizzazione agricola, possiede un banco per la simulazione strada molto avanzato e costoso. Questo banco attira molte aziende, che pagano per usarlo ed in tal modo finanziano il centro.
Ora voi direte? Che male c'è? Io vi dico: un male c'è. Perchè un centro di ricerca rischia di diventare, ai fini della sopravvivenza, un fornitore di servizi. I ricercatori passano ore ed ore a lavorare per le aziende, quando invece dovrebbero fare tutt'altro.
A quanto mi dicono, questo accade anche in molti dipartimenti del CNR, in cui si passa più tempo ad offrire servizi piuttosto che a fare ricerca.
Fin'ora ho parlato di aziende che sfuttano le attrezzature dei centri di ricerca, ora invece voglio parlare un po' dei progetti di ricerca che vengono effettuati. Il mio gruppo di ricerca al Politecnico aveva (anzi ha) diversi partner aziendali: FIAT, Aprilia, MV Agusta, etc. I progetti in collaborazione sono numerosi. Ma che accade? Dato che sono le aziende ad avere il coltello dalla parte del manico (i finanziamenti), esse tentano spesso di trasformare il centro di ricerca/università nel proprio personale schiavetto che deve ricercare ciò che vogliono loro. Ho scritto tentano, perchè non so quanto ci riescano, ma di sicuro l'influenza si fa sentire.
Purtroppo in Italia sono poche le aziende che fanno ricerca al loro interno. Sfruttare le università o altri centri di ricerca fa molto comodo. Tempo fa ho avuto l'occasione di passare un po' di tempo all'Università degli Studi di Bergamo e mi sono stupito per la grande disponibilità di attrezzature, laboratori e strumenti ivi presente. Allora mi son domandato: perchè un'università relativamente nuova e provinciale (dopo quest'affermazione sento i 300000 bergamaschi col fucile che bussano alla mia porta) è molto più ricca di un'università storica come il Politecnico? La risposta mi è arrivata poco tempo dopo: a Bergamo ci sono un sacco di aziende interessate ad un'università che "lavori" per loro. Mistero risolto.
Riassunto di tutto il discorso: in Italia, da quel che ho potuto constatare, le aziende comandano a bacchetta gran parte della ricerca.
Chiudo qui la prima puntata e vi invito, se ho scritto qualche cazzata (com'è probabile), a farmelo presente senza esitare.
Alla prossima puntata.
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giovedì 7 maggio 2009
Backup your Life
Ho iniziato a conservare memorie digitali da quando ho un computer.
All'inizio furono semplici documenti di testo salvati su floppy disc: conservo ancora i primi esperimenti da scrittore di quando ero un ragazzino. In questa prima fase, quella che posso definire memoria digitale della mia vita rappresenta solo una piccolissima percentuale della memoria totale della mia esistenza. La maggior parte della memoria di quel periodo è costituita infatti da ricordi allocati nel mio cervello, nel cervello delle persone che conosco, in fotografie, in diari e in altre forme non elettroniche. Sono forme di allocazione non duplicabili e che si degradano di anno in anno, soprattutto per quanto riguarda il supporto biologico. Nuove connessioni tra i neuroni creano nuove memorie e sovrascrivono quelle più vecchie.
Col progredire della tecnologia, con la diffusione della multimedialità, di Internet e di supporti di memorizzazione più capienti (prima i CD, poi i DVD) ho cominciato a collezionare qualunque tipo di documento digitale da me prodotto, che mi riguardasse, che mi piacesse o che trovassi interessante: e-mail, immagini, musica, video, documenti di testo. In questa seconda fase, che va dai tempi del Liceo fino ai primi anni di Università, la mia collezione di memorie digitali manca di coerenza, è incompleta e frammentaria, è catalogata in modo caotico, ma costituisce una parte decisamente superiore della mia memoria totale. Utilizzando i documenti digitali prodotti in questa fase sono in grado di ricostruire una parte notevole della mia esistenza.
Negli ultimi anni il tempo che passiamo connessi ed il flusso multimediale prodotto nella nostra quotidianità è aumentato esponenzialmente. Buona parte della comunicazione a distanza avviene in forma digitale (SMS, instant messaging), si sono diffuse nuove forme di socializzazione (blog, forum, social network), la posta tradizionale è scomparsa a favore della posta elettronica, ci scambiamo musica e film in formato digitale, scattiamo foto digitali, riprendiamo video digitali, etc.
Di pari passo a questa evoluzione nel nostro stile di vita e nei nostri modi di comunicare, la quantità di informazioni e memorie digitali da me raccolte è aumentata a dismisura.
Conservo email, conversazioni sostenute tramite i servizi di instant messaging, SMS, foto e video digitali, documenti di testo, pagine web prese dai miei blog, etc. Il tutto catalogato, costantemente aggiornato e riprodotto in più copie (almeno 3: una archiviata su disco fisso nel mio computer principale, una salvata su un'unità di backup e una masterizzata su un supporto ottico in singola o duplice copia - sì lo so, è quasi patologico).
Se fino a qualche anno fa le mie memorie digitali erano costituite da pochi Megabyte, scarni brandelli di informazione sulla mia esistenza, ora esse sono costituite da decine e decine di Gigabyte di informazione. Quasi ogni giorno della mia esistenza lascia una traccia digitale, forma una memoria elettronica che sopravvive inalterata al degrado della carne e, potenzialmente, può essere conservata e duplicata all'infinito.
Se voglio sapere cosa ho fatto una settimana fa, un mese fa, un anno fa, sono quasi certo di poterlo ricostruire con una certa precisione.
Tuttavia da qualche tempo mi pongo alcune domande.
1) Perchè questa corsa alla conservazione della memoria digitale? E' forse un anelito all'immortalità? La memoria elettronica della mia esistenza sopravviverà alla fine del mio corpo biologico? E' per questo che lo faccio? Per lasciare una traccia di me a chi verrà dopo di me? Questione su cui riflettere.
2) Sono davvero immortali le memorie digitali? Danneggiare un disco ottico è facile, cancellare i dati immagazzinati in un disco magnetico lo è altrettanto. I supporti si degradano (l'eternità di CD e DVD è solo una chimera, per sopravvivere i dati devono essere continuamente duplicati) o possono essere distrutti. Inoltre bisogna considerare l'evoluzione dei formati dei file digitali. Una foto in formato jpeg o un documento di testo in formato doc creati oggi saranno leggibili tra 50 anni? Di recente ho dovuto convertire i documenti di testo che ho creato poco più di 12 anni fa perchè hanno cominciato a manifestare incompatibilità con i programmi attuali.
3) Se anche le memorie elettroniche dovessero sopravvivere, cosa se ne faranno le generazioni future di migliaia di Terabyte di informazioni appartenute ad individui di cui non rimane che polvere? Il web sta diventando un mare, anzi no: un oceano di informazioni in cui ogni individuo è una goccia. Tutti i contenuti allocati offline sono probabilmente destinati ad essere distrutti e dimenticati, come i ricordi conservati in qualche vecchio baule in soffitta. Essi potranno sopravvivere solo immersi nella rete. Ma a chi o a cosa potranno interessare queste informazioni? Non è più probabile che anch'esse vengano distrutte?
Magari dagli abissi dell'oceano dell'informazione sorgerà un'intelligenza artificiale, vasta come la rete stessa, che cullerà i nostri fantasmi elettronici e ricorderà. Ricorderà. Per sempre.
All'inizio furono semplici documenti di testo salvati su floppy disc: conservo ancora i primi esperimenti da scrittore di quando ero un ragazzino. In questa prima fase, quella che posso definire memoria digitale della mia vita rappresenta solo una piccolissima percentuale della memoria totale della mia esistenza. La maggior parte della memoria di quel periodo è costituita infatti da ricordi allocati nel mio cervello, nel cervello delle persone che conosco, in fotografie, in diari e in altre forme non elettroniche. Sono forme di allocazione non duplicabili e che si degradano di anno in anno, soprattutto per quanto riguarda il supporto biologico. Nuove connessioni tra i neuroni creano nuove memorie e sovrascrivono quelle più vecchie.
Col progredire della tecnologia, con la diffusione della multimedialità, di Internet e di supporti di memorizzazione più capienti (prima i CD, poi i DVD) ho cominciato a collezionare qualunque tipo di documento digitale da me prodotto, che mi riguardasse, che mi piacesse o che trovassi interessante: e-mail, immagini, musica, video, documenti di testo. In questa seconda fase, che va dai tempi del Liceo fino ai primi anni di Università, la mia collezione di memorie digitali manca di coerenza, è incompleta e frammentaria, è catalogata in modo caotico, ma costituisce una parte decisamente superiore della mia memoria totale. Utilizzando i documenti digitali prodotti in questa fase sono in grado di ricostruire una parte notevole della mia esistenza.
Negli ultimi anni il tempo che passiamo connessi ed il flusso multimediale prodotto nella nostra quotidianità è aumentato esponenzialmente. Buona parte della comunicazione a distanza avviene in forma digitale (SMS, instant messaging), si sono diffuse nuove forme di socializzazione (blog, forum, social network), la posta tradizionale è scomparsa a favore della posta elettronica, ci scambiamo musica e film in formato digitale, scattiamo foto digitali, riprendiamo video digitali, etc.
Di pari passo a questa evoluzione nel nostro stile di vita e nei nostri modi di comunicare, la quantità di informazioni e memorie digitali da me raccolte è aumentata a dismisura.
Conservo email, conversazioni sostenute tramite i servizi di instant messaging, SMS, foto e video digitali, documenti di testo, pagine web prese dai miei blog, etc. Il tutto catalogato, costantemente aggiornato e riprodotto in più copie (almeno 3: una archiviata su disco fisso nel mio computer principale, una salvata su un'unità di backup e una masterizzata su un supporto ottico in singola o duplice copia - sì lo so, è quasi patologico).
Se fino a qualche anno fa le mie memorie digitali erano costituite da pochi Megabyte, scarni brandelli di informazione sulla mia esistenza, ora esse sono costituite da decine e decine di Gigabyte di informazione. Quasi ogni giorno della mia esistenza lascia una traccia digitale, forma una memoria elettronica che sopravvive inalterata al degrado della carne e, potenzialmente, può essere conservata e duplicata all'infinito.
Se voglio sapere cosa ho fatto una settimana fa, un mese fa, un anno fa, sono quasi certo di poterlo ricostruire con una certa precisione.
Tuttavia da qualche tempo mi pongo alcune domande.
1) Perchè questa corsa alla conservazione della memoria digitale? E' forse un anelito all'immortalità? La memoria elettronica della mia esistenza sopravviverà alla fine del mio corpo biologico? E' per questo che lo faccio? Per lasciare una traccia di me a chi verrà dopo di me? Questione su cui riflettere.
2) Sono davvero immortali le memorie digitali? Danneggiare un disco ottico è facile, cancellare i dati immagazzinati in un disco magnetico lo è altrettanto. I supporti si degradano (l'eternità di CD e DVD è solo una chimera, per sopravvivere i dati devono essere continuamente duplicati) o possono essere distrutti. Inoltre bisogna considerare l'evoluzione dei formati dei file digitali. Una foto in formato jpeg o un documento di testo in formato doc creati oggi saranno leggibili tra 50 anni? Di recente ho dovuto convertire i documenti di testo che ho creato poco più di 12 anni fa perchè hanno cominciato a manifestare incompatibilità con i programmi attuali.
3) Se anche le memorie elettroniche dovessero sopravvivere, cosa se ne faranno le generazioni future di migliaia di Terabyte di informazioni appartenute ad individui di cui non rimane che polvere? Il web sta diventando un mare, anzi no: un oceano di informazioni in cui ogni individuo è una goccia. Tutti i contenuti allocati offline sono probabilmente destinati ad essere distrutti e dimenticati, come i ricordi conservati in qualche vecchio baule in soffitta. Essi potranno sopravvivere solo immersi nella rete. Ma a chi o a cosa potranno interessare queste informazioni? Non è più probabile che anch'esse vengano distrutte?
Magari dagli abissi dell'oceano dell'informazione sorgerà un'intelligenza artificiale, vasta come la rete stessa, che cullerà i nostri fantasmi elettronici e ricorderà. Ricorderà. Per sempre.
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