In questo periodo di tempo penso di aver imparato tante cose (e di ignorarne altrettante), ma di una cosa ormai son sicuro: in Italia c'è tanta ignoranza e disinformazione a riguardo. I media tendono troppo spesso a generalizzare e a creare miti. Purtroppo si sa che il modo di fare informazione in Italia è questo... E non c'è niente da fare!
Mi è dunque venuta una brillante idea: iniziare una piccola rubrica in cui raccontare tutte le mie esperienze di quest'ultimo anno. Se poi avrò tempo e voglia vorrei anche fare qualche intervista, su temi specifici, ad altre persone che lavorano in questo mondo affascinante e di cui tanto si discute. Vedremo un po' come va.
Scrivendo cercherò di attenermi il più possibile ai fatti, di sottolineare quali siano le mie opinioni personali (in quanto tali opinabili) e, se possibile, di presentare anche qualche numero.
Ma andiam ad iniziar... Trallallero trallallà!
In questa prima puntata vorrei parlare di una questione a dir poco scottante, quella della dipendenza dell'Università e degli istituti di ricerca dai finanziamenti delle aziende, ovvero
LA STORIA DEL RICERCATORE AL GUINZAGLIO
Prima di iniziare bisogna fare una distinzione fondamentale. Ci sono due tipi di ricerca: la ricerca di base e la ricerca applicata.
La ricerca di base è la ricerca fine a se stessa. Ciò non vuol dire che sia inutile, tutt'altro, ma essa non ha un diretto risvolto pratico ed economico! (Ahi ahi ahi qui iniziano i guai!) Il suo obiettivo principale è aumentare la conoscenza, senza scopi pratici in mente. Se poi ci sono ricadute applicative tanto meglio. Essa è la vera ricerca, quella iniziata da Galileo Galilei (che salutiamo!) e continuata da Newton, Einstein, Hawking e tanti altri scienziati e ricercatori meno conosciuti, ma non meno importanti.
La ricerca applicata ha invece come obiettivo trovare soluzioni a problemi pratici e specifici ed è quella che piace tanto ai partner industriali. Essa sfrutta la conoscenza a fini pratici.
In Italia si fa tanta ricerca applicata, ma pochissima ricerca di base. I motivi sono ovvi. I finanziamenti da parte dello Stato sono scarsi e la maggior parte dei soldi arriva dalle aziende. Ma le aziende mica danno i finanziamenti per fare del bene. Nossignore! Lo fanno per avere qualcosa in cambio. Così succede che i ricercatori per sopravvivere sono costretti a trovarsi dei partner industriali, ma che spesso e volentieri questi partner fanno sentire la loro ingerenza e prendono i ricercatori al guinzaglio.
Io penso che la ricerca debba essere il più possibile libera da queste ingerenze, ma purtroppo ci sono persone che la pensano in modo diametralmente opposto. C'è chi pensa che la ricerca sia solo un mezzo e non un fine, che essa sia qualcosa di accessorio, ma che a volte fa tanto comodo e che chi fa ricerca di base sia solo un perditempo e un fannullone.
Per dimostrare che so di cosa parlo ora vi proporrò qualche esempio.
Tempo fa discutevo con il mio amico Aga della scarsità di attrezzature al DEI (Dipartimento di Elettronica e di Informazione del Politecnico di Milano), dove ho collaborato per diversi mesi, rispetto all'opulenza del Dipartimento di Meccanica nel Campus Bovisa, dove egli attualmente studia. Come si spiega questo fatto? Presto detto: il Dipartimento di Meccanica possiede una bellissima Galleria del Vento, che è richiesta da un sacco di aziende: per poterla usare le aziende pagano fior di quattrini ed ecco i finanziamenti serviti su un piatto d'argento! Nel laboratorio del DEI bisogna invece fare i salti mortali per trovare un alimentatore, un multimetro o anche solo qualche semplice cavetto!
Prima di trarre una conclusione, voglio fare un altro esempio che riguarda la sede di Treviglio del CRA (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura), dove collaboro attualmente. Il centro, che si occupa di meccanizzazione agricola, possiede un banco per la simulazione strada molto avanzato e costoso. Questo banco attira molte aziende, che pagano per usarlo ed in tal modo finanziano il centro.
Ora voi direte? Che male c'è? Io vi dico: un male c'è. Perchè un centro di ricerca rischia di diventare, ai fini della sopravvivenza, un fornitore di servizi. I ricercatori passano ore ed ore a lavorare per le aziende, quando invece dovrebbero fare tutt'altro.
A quanto mi dicono, questo accade anche in molti dipartimenti del CNR, in cui si passa più tempo ad offrire servizi piuttosto che a fare ricerca.
Fin'ora ho parlato di aziende che sfuttano le attrezzature dei centri di ricerca, ora invece voglio parlare un po' dei progetti di ricerca che vengono effettuati. Il mio gruppo di ricerca al Politecnico aveva (anzi ha) diversi partner aziendali: FIAT, Aprilia, MV Agusta, etc. I progetti in collaborazione sono numerosi. Ma che accade? Dato che sono le aziende ad avere il coltello dalla parte del manico (i finanziamenti), esse tentano spesso di trasformare il centro di ricerca/università nel proprio personale schiavetto che deve ricercare ciò che vogliono loro. Ho scritto tentano, perchè non so quanto ci riescano, ma di sicuro l'influenza si fa sentire.
Purtroppo in Italia sono poche le aziende che fanno ricerca al loro interno. Sfruttare le università o altri centri di ricerca fa molto comodo. Tempo fa ho avuto l'occasione di passare un po' di tempo all'Università degli Studi di Bergamo e mi sono stupito per la grande disponibilità di attrezzature, laboratori e strumenti ivi presente. Allora mi son domandato: perchè un'università relativamente nuova e provinciale (dopo quest'affermazione sento i 300000 bergamaschi col fucile che bussano alla mia porta) è molto più ricca di un'università storica come il Politecnico? La risposta mi è arrivata poco tempo dopo: a Bergamo ci sono un sacco di aziende interessate ad un'università che "lavori" per loro. Mistero risolto.
Riassunto di tutto il discorso: in Italia, da quel che ho potuto constatare, le aziende comandano a bacchetta gran parte della ricerca.
Chiudo qui la prima puntata e vi invito, se ho scritto qualche cazzata (com'è probabile), a farmelo presente senza esitare.
Alla prossima puntata.
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