Questo post è il seguito de I limiti della nostra percezione del 5 giugno.
Ieri sera continuavo a fissare La strada che porta alla realtà di Penrose. "Leggimi, leggimi" mi diceva il librone ed io stavo per allungare la mano ed afferrarlo. Poi però m'è cascato l'occhio sulla Trilogia della Fondazione di Asimov e mi son messo a leggere quella: una lettura decisamente più rilassante.
Il mio problema è che, in mancanza di uno studio serio di certi argomenti, l'unica cosa che posso fare è congetturare, basandomi su un background che probabilmente è infarcito di errori. Pazienza: man mano che le mie conoscenze in materia si amplieranno correggerò i miei errori. Il ragionamento che segue è affetto da queste magagne, che ho pensato di sottolineare per bene prima di procedere.
Ricordando il presupposto secondo cui la nostra visione della realtà è per forza di cose limitata (vedere post precedente), andiamo a cominciare.
Lo spazio-tempo. Per come la intendo io, e lo ripeto un'altra volta che potrei avere una visione distorta della realtà, tutte le dimensioni, compresa quella spaziale, hanno un'esistenza sostanziale. Cosa vuol dire? Cercherò di spiegarlo.
In modo intuitivo il tempo si potrebbe intendere come una manifestazione del divenire (il panta rei eracliteo): in primavera un albero si ricopre di foglie, in estate produce frutti, in autunno le foglie diventano rosse, cadono e l'albero si spoglia. Gli esseri umani nascono, crescono e poi tornano alla terra. Le stelle avvampano dalle nebulose, bruciano ed infine muoiono. In ognuno di questi casi abbiamo una sequenza di stati la cui manifestazione è scandita dall'entità che chiamiamo tempo. Ma in quest'ottica il tempo potrebbe non avere nessuna realtà sostanziale, il concetto di passato potrebbe essere dovuto semplicemente all'esistenza della memoria e all'effetto che una serie di stati precedenti produce su quello che noi chiamiamo presente. Ciò che esiste è lo spazio ed il tempo è solo indice del mutamento.
Io non la vedo in questa maniera. Così come, nello spazio, il fatto di trovarmi a Roma non esclude l'esistenza di New York, allo stesso modo, nello spazio-tempo, trovarmi nell'anno 2009 non esclude l'esistenza dell'anno 1985, 1492 o 12579. Esistenza sostanziale. Non nel divenire. Nello spazio-quadridimensionale Cristoforo Colombo sta facendo vela verso le Indie Occidentali, Gesù Cristo sta venendo crocifisso sul Golgota e una scimmia pelosa si è alzata in piedi nella savana per guardare se sopraggiungono predatori. Questa mia idea, se non faccio errori grossolani, dovrebbe trovare riscontro nella teoria della relatività ed è mia intenzione approfondire almeno questo aspetto fondamentale, poichè è l'ipotesi su cui si basa il resto del discorso.
Parliamo ora dei viaggi nel tempo. Se fosse possibile, come in Ritorno al Futuro, spostarsi avanti ed indietro nel tempo su una DeLorean, la mia ipotesi sarebbe immediatamente dimostrata. Purtroppo sulla possibilità teorica di fare o meno viaggi nel tempo, al di là della loro fattibilità tecnologica, si discute da decenni senza giungere ad una conclusione. Ci sono scienziati che dicono di sì ed altri che dicono di no, oltre ad un buon numero di paradossi e di problemi cosmici legati all'effettiva possibilità di tali viaggi. Tanto per fare un esempio cito la mia versione personale del cosiddetto paradosso del nonno. Il nostro incauto viaggiatore del tempo finisce nel passato ed incontra suo nonno prima che egli conosca sua nonna. Purtroppo il caro nonnetto (che nel passato è un baldo giovanotto che fuma marijuana e viaggia su una Harley) ha una rara malformazione al cuore (oltre ad un pessimo carattere) e, dopo aver fatto a pugni col nipote crononauta pensando che questi lo pigliasse per il culo, muore sul colpo stroncato da un infarto. Il problema è: se il nonno è morto prima di conoscere sua moglie, come si spiega l'esistenza del nipote che ha viaggiato nel tempo? E se il nipote non può esistere com'è possibile che il nonno sia morto facendo a pugni con lui? Se ci fosse risposta a queste domande non sarebbe un paradosso. Due soluzioni possibili al problema sono la congettura di protezione cronologica di Stephen Hawking (o censura cosmica), secondo cui le leggi della fisica impediscono il viaggio del tempo in modo da evitare il paradosso stesso ("è come se ci fosse un'agenzia per il controllo cronologico che impedisce la comparsa di curve temporali chiuse, così da rendere l'Universo un luogo sicuro per gli storici" - Stephen Hawking, 1992), oppure l'interpretazione molti-mondi della meccanica quantistica di Hugh Everett III, secondo la quale tutti i risultati possibili di un esperimento quantistico si realizzano... in mondi diversi. Ad andare avanti con questi discorsi si rischia di sfociare nell'assurdo ed in fondo a me non interessa se sia o meno possibile spostarsi nello spazio-tempo attraversando ponti di Einstein-Rosen o superando le 88 miglia orarie su una DeLorean. A me 'sti maledetti viaggi nel tempo servono solo come esempio! Certo che, direte voi, potevo scegliermi un esempio più realistico e magari verificabile sperimentalmente, ma ho la fissazione per la fantascienza.
Ipotizziamo dunque che sia possibile viaggiare nel tempo. Saliamo sulla nostra Panda del tempo 4x4, attiviamo i tempo-circuiti, controlliamo che il flusso canalizzatore stia flussando, impostiamo la data di destinazione, andiamo in autostrada (sul Sempione c'è troppo traffico), spingiamo sull'acceleratore fino a raggiungere i 142 km/h (siamo in Italia, mica negli USA) e voilà, eccoci nel 1965, giusto in tempo per assistere ad un concerto dei Beatles. Ma come? Ma John Lennon non era morto? Eh no! Nello spazio-tempo John Lennon è vivo e vegeto. Nello spazio-tempo ogni istante temporale esiste. Nello spazio-tempo il momento è eterno.
Le nostre vite, una sequenza di istanti ordinati e lineari che da noi vengono interpretati come un divenire, esistono in eterno, se questa parola può avere senso fuori dalla cronologia. In ogni istante temporale, dalla nostra nascita alla nostra morte, esiste una "copia" di noi stessi, quella che un ipotetico crononauta potrebbe incontrare. Il divenire è solo un'illusione.
Di questa illusione parlerò nel prossimo post e anticipo che minerò dalle fondamenta le mie stesse affermazioni. In questo post voglio parlare delle conseguenze etiche e filosofiche di questa "persistenza della cronologia".
Innanzitutto il concetto di morte e di non-esistenza perderebbe significato. La morte non ha senso fuori dal tempo. Nello spazio-tempo le nostre vite sarebbero immortali, un eterno dispiegarsi dal concepimento alla disgregazione della carne. Citando Epicuro: la morte non è nulla per noi, perchè quando ci siamo noi non c'è lei, e quando c'è lei non ci siamo più noi.
In secondo luogo il libero arbitrio sparirebbe. Se infatti ipotizziamo che ogni istante abbia un'esistenza sostanziale, tutto diventa pre-determinato. Tolta l'illusione del divenire, guardando l'Universo fuori dal tempo esso appare come un cristallo immutabile: esso non diviene, è. Questa visione è l'Uroboro, il serpente che si morde la coda, l'eterno ritorno tale e quale lo descrive Nietzsche in Così parlò Zarathustra (acc, mi hanno preceduto!).
La conseguenza fondamentale di questa intuizione è la stessa cui arriva il filosofo tedesco: ogni istante delle nostre vite dovrebbe essere reso tale da volerlo rivivere in eterno. Il problema è che, non avendo libertà di scelta, le nostre scelte sono già fatte, ma non ce ne accorgiamo perchè la nostra mente è in grado di ricordare il passato, ma non di vedere il futuro... A dir la verità, ora che ci penso bene, quello di Nietzsche è solo un atteggiamento possibile: la predestinazione può essere affrontata in molti modi. Da più di duemila anni oracoli, teologi, filosofi e drammaturghi se ne occupano.
Potrei andare avanti a discorrere per ore di questo argomento, ipotizzando ad esempio che ogni nostra possibile scelta generi un Universo parallelo, ma il succo della questione l'ho presentato, così come le sue conseguenze più lampanti.
Nel prossimo episodio, dal titolo "Un problema di coscienza", criticherò quanto ho detto oggi.
Continua...
lunedì 8 giugno 2009
Le conseguenze esistenziali dei viaggi nel tempo
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2 commenti:
Personalmente tendo a scartare tutte le ipotesi "fantasiose" come gli infiniti universi o paradossi strani.
Ritengo che il tempo non sia una variabile indipendente (visto che è funzione di massa e velocità) e che sia un po' come un fiume che ci trascina e in cui siamo obbligati a restare.
Da un punto di vista puramente pratico, esiste solo il presente e l'unico viaggio nel tempo possibile è quello di sedersi e aspettare che arrivi il futuro, un secondo alla volta.
Simone
La fisica di per sé sta diventando molto "fantasiosa". Basta pensare alla teoria delle stringhe che, nonostante decenni di studi, costruzioni matematiche incredibili e l'impegno di centinaia di studiosi, non ha portato ad un singolo esperimento verificabile sperimentalmente (e per questo rischia di perdere il suo status di teoria). Poi guardando le pubblicazioni scientifiche si sente parlare di materia oscura, energia oscura, singolarità nude, Universo a bolle ed altre entità strane. Mi mancano gli ascensori di Einstein... :*-(
Ritenere il tempo (ma anche lo spazio) come variabili "dipendenti" e non come il palcoscenico immutabile in cui si rappresenta la tragicommedia della realtà penso proprio che sia corretto. La relatività einsteniana insegna (e fino a quando non arriverà una nuova teoria a soppiantarla va tenuta per buona) che spazio e tempo si "deformano" in presenza di campi gravitazionali e quando la velocità di una particella dotata di massa aumenta, cresce anche la sua massa e di conseguenza la "deformazione". Ciò che accade nelle singolarità nessuna teoria lo dice, ma una cosa è sicura: nell'angolo di Universo in cui viviamo non si sfugge allo spazio e al tempo ordinari.
Per quanto riguarda l'approccio pratico sono perfettamente d'accordo! Grande Giove! :-D
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