giovedì 27 gennaio 2011

Diario di Hiroshima di Michihiko Hachiya

La mattina del 6 agosto 1945, il bombardiere B-29 Enola Gay si alzò in volo dalla base di Tinian Island, nell'arcipelago delle Marianne, con a bordo una bomba all'uranio dal peso di quattro tonnellate.
Alle 8.15 la bomba, conosciuta con il nome in codice Little Boy, fu sganciata in corrispondenza del centro della città di Hiroshima.
Dopo 57 secondi di caduta, all'altezza predeterminata di 600 metri, i dispositivi interni alla bomba innescarono con una piccola detonazione una massa super-critica di uranio di 64 kg. Di quei 64 kg, solo 0,7 kg furono sottoposti a fissione e di quella massa solo 600 milligrammi furono convertiti in energia.
La potenza distruttiva dell'ordigno bruciò qualsiasi cosa nel raggio di chilometri, l'onda d'urto rase al suolo gli edifici e radiazioni mortali colpirono tutti gli esseri viventi che si trovavano nei pressi dell'ipocentro. Si pensa che 70000 persone morirono sul colpo e altrettante nei giorni, nelle settimane e nei mesi seguenti, a causa delle ferite subite o delle radiazioni.

Al momento dell'esplosione, Michihiko Hachiya, direttore dell'Ospedale delle Comunicazioni di Hiroshima, si trovava nella sua casa, distante circa un chilometro e mezzo dall'ipocentro. Sopravvissuto al pikadon per miracolo, nudo e ferito, il dottor Hachiya si trascinò, insieme alla moglie, fino all'ospedale, dove rimase, prima come paziente e poi come medico, per diverse settimane. Diario di Hiroshima, pubblicato nel 1955, raccoglie lo straordinario racconto di questa esperienza e rappresenta una testimonianza unica di uno dei più terribili eventi della storia dell'umanità. La narrazione comprende il periodo che va dal 6 agosto al 30 settembre 1945.
 
"All'improvviso fui abbagliato da un lampo di luce, seguito immediatamente da un altro. A volte, di un evento, si ricordano i più minuti particolari: rammento perfettamente che una lanterna di pietra nel giardino si illuminò di una luce vivida, e io mi chiesi se fosse prodotta da una vampa di magnesio, o non piuttosto dalle scintille di un tram di passaggio.
Le ombre del giardino sparirono. La scena, che un istante prima mi era apparsa così luminosa e gaia di sole, si oscurò, gli oggetti si fecero indistinti. Fra i nembi di polvere riuscivo a stento a distinguere una colonna di legno che era servita di sostegno a un angolo della casa. Ora la colonna era contorta e il tetto pareva in procinto di rovinare."

Scritto con una prosa lucida e precisa, il diario offre uno sguardo, giorno dopo giorno, sul panorama di morte e desolazione in cui si sono ritrovati la città e i suoi abitanti durante e dopo lo scoppio della bomba. La mentalità scientifica del dottore traspare nella descrizione dei feriti, degli ustionati, degli uomini e delle donne investiti dall'esplosione o colpiti dalle radiazioni, senza omettere alcun particolare, nemmeno i più macabri.
E così ci appaiono davanti agli occhi uomini dal volto liquefatto, nudi, con la pelle che si stacca dai muscoli, che vagano ciechi per le strade della città ridotta in macerie, soffocata dagli incendi e avvolta in una notte prematura.
O i pazienti dell'ospedale, scampati all'esplosione, ma non all'effetto letale delle radiazioni: agonizzanti in un letto, soffocati dalle emorragie, con la pelle piagata e i capelli che cadono, mentre i medici assistono impotenti.
O le ombre di chi, dalla bomba, è stato ridotto in cenere. 

Oltre al contenuto puramente descrittivo, il diario offre anche un aspetto umano molto importante, costituito dalle riflessioni, dai sentimenti e dalle annotazioni personali del dottor Hachiya. E così, attraverso le sue parole, osserviamo il destino di un popolo sconfitto, umiliato e costretto alla resa. Scopriamo la bassezza di taluni uomini ed il coraggio e l'onore di altri, che anche nei momenti più bui si elevano come un faro, animati dai più puri sentimenti. In particolare le pagine dedicate da sensei Hachiya all'Imperatore sono molto toccanti: una fede irremovibile, così come viene descritta nel racconto del salvataggio del ritratto imperiale, appare a tratti incomprensibile a noi occidentali. Colpisce anche il grande rispetto mostrato per il nemico, soprattutto dopo un evento tragico come il bombardamento. 

In definitiva Diario di Hiroshima è una lettura che atterrisce, commuove e fa riflettere. Sicuramente è uno dei libri migliori che io mi sia trovato tra le mani negli ultimi anni. Consiglio a tutti di leggerlo: il 6 agosto 1945 è una data che non va dimenticata, affinché certi orrori non debbano mai ripetersi.


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sabato 15 gennaio 2011

Facebook e lo spirito del web

Uno dei principi fondamentali del web è la sua universalità: la possibilità per chiunque di condividere con chiunque altro un'informazione o una risorsa , ovunque essa si trovi, rendendo in tal modo il web uno spazio d'informazione universale e interconnesso.
Questo principio, dato per scontato nelle nazioni democratiche, è tuttavia minacciato dalla nascita e dalla crescita, all'interno della rete, di entità monolitiche come Facebook e altri social network, che, non rispettando lo spirito di apertura e condivisione, impediscono, di fatto, la libera diffusione delle informazioni.

Vediamo come ciò può accadere.

All'interno del web, l'URI rappresenta la chiave per l'universalità.

Uno Uniform Resource Identifier è una stringa che identifica univocamente una risorsa generica che può essere un indirizzo web, un documento, un'immagine, un file, un servizio, un indirizzo di posta elettronica, ecc. (da Wikipedia)

Utilizzando URI basati su un protocollo proprietario, Facebook permette di visualizzare e condividere informazioni e risorse solo all'interno del proprio sito: diventa in tal modo impossibile condividere i dati con chi sta fuori.
Facebook assomiglia in effetti a un buco nero: raccoglie e immagazzina i dati all'interno dei propri database e li riutilizza per fornire servizi a valore aggiunto, ma solo a chi fa parte della community. Le pagine sono nel web, ma i dati no.

Questo trend, che caratterizza Facebook ed altri siti e servizi meno famosi, è una grave minaccia per il futuro della rete, che rischia di frammentarsi in entità più piccole ed isolate le une dalle altre.
Con i suoi 500 milioni di utenti, Facebook è una piattaforma di successo, ha enormi potenzialità, è comodo e facile da usare, ma si basa su un concetto di condivisione sbagliato.
La scelta di cosa condividere e con chi dipende dai singoli utenti, a cui va anche la responsabilità di non imprigionare informazioni di valore universale in gruppi isolati, ma il sistema non deve imporre alcun limite a questa libertà di scelta. Quando ciò accade il sistema va cambiato.

Questa ed altre minacce, che violano i principi di libertà, uguaglianza e neutralità che caratterizzano la rete fin dalla sua nascita, sono state evidenziate da Tim Berners-Lee, uno dei padri fondatori del web, in un suo articolo apparso su Scientific American alla fine dello scorso anno.
L'articolo (che apparirà anche sul numero 510 de Le Scienze, in edicola a partire dal mese di febbraio 2011) merita una lettura approfondita per capire che certi principi, che magari diamo per scontati, in realtà vanno difesi ad ogni costo. La rete è, e deve restare, il più grande patrimonio di democrazia e libera conoscenza dell'umanità.

A me l'articolo ha aperto gli occhi e mi sono accorto di come certe questioni importanti siano ampiamente sottovalutate. Nel mio piccolo ho deciso di cambiare il modo di condividere le informazioni. Come molti altri sono rimasto ammaliato da Facebook, di cui sono un assiduo utilizzatore da quasi tre anni, ma d'ora in avanti eviterò di usarlo per condividere qualsiasi risorsa che non riguardi la sfera privata, riservando il suo utilizzo esclusivamente allo sharing di informazioni personali con i miei amici (di come Facebook trasformi i rapporti interpersonali scriverò in un altro post).
Questo è, tra l'altro, uno dei motivi per cui ho deciso di rispolverare il blog.


Link:
-Long Live the Web: A Call for Continued Open Standars and Neutrality, Tim Berners-Lee, Scientific American Magazine, dicembre 2010
-URI, Wikipedia
-Tim Berners-Lee, Wikipedia

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