Nota iniziale
Ho scritto questo post poco prima dei drammatici avvenimenti che stanno sconvolgendo il Giappone. Proprio in queste ore un'esplosione ha danneggiato l'edificio del reattore numero 1 della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. 25 anni dopo Chernobyl e 32 anni dopo Three Mile Island, l'incubo di una catastrofe nucleare sembra ripetersi.
Il documentario
La battaglia di Chernobyl (titolo originale:
The battle of Chernobyl) è un documentario del 2006 co-prodotto da
France 3 e
Discovery International Networks e diretto da
Thomas Jonhson.
Il documentario vinse, come miglior produzione culturale, la 58esima edizione del
Prix Italia, uno dei più antichi e prestigiosi concorsi internazionali per programmi radio, tv e web,
organizzato dalla RAI. In Italia fu trasmesso due sole volte: il 26 aprile 2006 alle 21.00 su
Discovery Channel e il 6 marzo 2007
alle 2.00 su RAIDUE:
incredibile svista o deliberata censura?
La battaglia di Chernobyl presenta materiale audio/video inedito e ricostruisce, settimana dopo settimana, i drammatici avvenimenti successivi al disastro nucleare del 1986, scontrandosi con l'alone di omertà che avvolge da decenni l'incidente e le sue conseguenze. Sebbene alcune delle questioni affrontate siano controverse (non può essere altrimenti), la maggior parte dei fatti narrati è supportata da un'ampia documentazione e da
testimonianze straordinarie. Per chi del disastro di Chernobyl ha solo sentito parlare, questo documentario è un ottimo punto di partenza per approfondire la questione.
Purtroppo non esiste alcun DVD per la vendita, ma, accontentandosi di una qualità non proprio ineccepibile, il video è facilmente reperibile, in italiano ed in inglese, sulle reti
ed2k e
torrent e, solo in lingua originale, su
YouTube.
La battaglia
All'1.23.45 (ora locale) del 26 aprile 1986 una devastante esplosione squassò il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, allora repubblica dell'Unione Sovietica. Il coperchio del reattore fu scaraventato via, esponendo all'aria il nucleo in fusione. Seguì un potente incendio delle barre di grafite, che liberò in atmosfera tonnellate di polveri radioattive. Trasportate dal vento, nel giro di qualche giorno le polveri si diffusero su mezza Europa.
Ignari del pericolo che correvano, sul posto intervennero subito i vigili del fuoco, ma i tentativi di spegnere l'incendio furono vani. Intanto a Pripyat, nei villaggi e nelle città vicine al luogo del disastro la vita continuava a scorrere come se niente fosse successo. L'intervento dei sovietici fu lento e tardivo: l'evacuazione di Pripyat iniziò solo 36 ore dopo l'incidente, quando ormai la popolazione era stata esposta a dosi elevate di radiazione: la città e le campagne vicine erano già completamente contaminate.
La gestione del disastro passò nelle mani dell'esercito: nel giro di poche ore l'area circostante alla centrale si trasformò in una zona di guerra. Per estinguere l'incendio e fermare la diffusione delle polveri radioattive, che continuavano a liberarsi in atmosfera, elicotteri carichi di boro, silicati, sabbia e dolomia riversarono per giorni il loro fardello sul nucleo incandescente del reattore: l'intensità dell'incendio diminuì, ma la fusione non si arrestò. L'emissione di vapore radioattivo cessò il 10 maggio.
Intanto la cortina di silenzio che Mosca aveva steso sul disastro cominciava a squarciarsi. Il 27 aprile, allarmati dai livelli di radiazione rilevati nei pressi della centrale nucleare di Forsmark, in Svezia, gli scienziati intuirono che da qualche parte doveva essersi verificato un grave incidente. L'attenzione si fissò sull'Unione Sovietica e le immagini del satellite Landsat 5 confermarono i sospetti: messi alle strette, i vertici del Politburo furono costretti ad ammettere l'incidente, pur minimizzandone le conseguenze ed affermando ripetutamente che la situazione era sotto controllo. Per non scatenare il panico, nonostante la radioattività fosse centinaia di volte superiore alla norma, i membri locali del Partito decisero di non rinviare la parata del primo maggio a Kiev, invitando addirittura le famiglie a parteciparvi. Igor Kostin, reporter dell'agenzia Novosti - uno dei principali testimoni degli eventi di Chernobyl, la definì una parata di morte.
All'inizio di maggio la situazione alla centrale rimaneva critica. Il magma incandescente di uranio e grafite, appesantito ulteriormente dal materiale scaricato dagli elicotteri, stava lentamente sprofondando attraverso il pavimento di cemento. A contatto con l'acqua accumulata in seguito alla rottura delle condotte e all'intervento dei vigili del fuoco, esso avrebbe potuto generare una
nuova catastrofica esplosione [1]. L'acqua fu drenata e gli elicotteri scaricarono sul reattore tonnellate di piombo, in modo tale da abbassare la temperatura del magma e schermare le radiazioni, ma il rischio che il nucleo sprofondasse fino a raggiungere la falda acquifera rimaneva elevato. Si decise di costruire una stanza sotterranea, appena sotto al pavimento del reattore, e di installarci un dispositivo di refrigerazione. Per farlo furono chiamati migliaia di minatori, principalmente dalla città mineraria di
Tula, ed essi scavarono per giorni sotto alla centrale: tredici metri al giorno, nonostante il caldo soffocante e le radiazioni, finché il lavoro fu completato. "Qualcuno doveva andare a farlo"
afferma uno dei superstiti. Alla fine, al posto del sistema di refrigerazione, il pavimento fu rinforzato con il cemento. L'emergenza era finita, i minatori furono rimandati a casa e molti di essi morirono o si ammalarono gravemente, sebbene il loro numero non compaia in nessuna statistica ufficiale [2]. Un monumento a Tula ricorda il loro sacrificio.
Il rischio di una nuova esplosione era stato evitato, ma rimaneva ancora molto da fare. La zona intorno all'impianto, altamente contaminata, andava ripulita. Fin dai primi giorni dopo l'esplosione, le strade e gli edifici furono lavati con liquidi decontaminanti per evitare la diffusione delle polveri. Interi villaggi furono abbattuti e sepolti. Ai soldati fu dato ordine di sparare a vista a cani e gatti, che con la loro pelliccia avrebbero potuto contaminare i
liquidatori, i lavoratori che operavano al recupero della zona del disastro. Si stima che più di 500000 persone, tra militari e civili, lavorarono a Chernobyl per fronteggiare la catastrofe:
l'ultima grande battaglia dell'Unione Sovietica.
Per sigillare una volta per tutte il reattore danneggiato fu progettato un enorme
sarcofago: una struttura di contenimento di acciaio, piombo e cemento destinata a durare per almeno 30 anni. I lavori di costruzione iniziarono a maggio e proseguirono fino a novembre. I liquidatori coinvolti nella realizzazione della struttura si trovarono a lavorare in condizioni di altissimo rischio, a causa delle radiazioni presenti nel sito. Per ripulire il tetto del reattore numero 3 dai pezzi di grafite scaraventati fuori dall'esplosione, centinaia di essi (i cosiddetti
bio-robot), protetti da precarie tute anti-radiazioni, si alternarono in turni di due minuti, armati di badili o addirittura a mani nude: sul tetto il livello di radioattività era talmente elevato che i circuiti elettronici dei robot teleguidati si rompevano.
Il sarcofago fu completato e quando la prima neve dell'inverno si depositò sulla struttura, dando una prova tangibile del raffreddamento del nocciolo, l'incubo sembrò giunto al termine. Sepolta nel sarcofago, definito da
Lev Bacharov - uno dei liquidatori che partecipò alla sua realizzazione -
il
mausoleo dell'industria nucleare, finiva un'epoca. L'incidente di Chernobyl diede una sferzata agli sforzi per il disarmo atomico ed inflisse un duro colpo al nucleare civile. Ma le conseguenze e le responsabilità del disastro subirono una sistematica opera di occultamento e non furono mai chiarite completamente. Il processo per individuare i colpevoli dell'incidente si rivelò una farsa, le pressioni politiche e l'instabilità dovuta al crollo del regime sovietico contribuirono alla mancanza di studi scientifici approfonditi e indipendenti, i rapporti stilati dal
Chernobyl Forum, un incontro istituzionale promosso dall'IAEA (
International Atomic Energy Agency) per mettere in chiaro gli effetti del disastro sulla salute e sull'ambiente, subirono aperte critiche.
Valery Legasov, direttore del
Kurchatov Institute, fu uno dei membri chiave della commissione governativa incaricata di investigare le cause della catastrofe e di mitigarne le conseguenze. Nell'agosto del 1986, ad un meeting speciale della IAEA a Vienna, egli presentò un rapporto dettagliato sull'incidente e le sue conseguenze.
Il 26 aprile 1988, dopo aver registrato un
audiotape in cui spiegava fatti fino a quel momento sconosciuti riguardanti la catastrofe
, si impiccò.
Oggi, al centro della
Zona di Alienazione, il sarcofago si sta sgretolando, mentre i lavori per la costruzione di una nuova struttura di contenimento, progettata per durare almeno un secolo, procedono a rilento. Sono passati 25 anni, ma migliaia di persone, colpite dalle radiazioni o costrette ad abbandonare le proprie case per sfuggire alla catastrofe, continuano a soffrire. Questa è l'eredità lasciata da Chernobyl alle generazioni a venire: un'eredità che non va dimenticata.
I testimoni
Antochkin,
Nikolai: nel 1986 generale dell'Aviazione Militare, oggi presidente degli Eroi di Russia. La sua flotta di elicotteri intervenì ripetutamente sul luogo del disastro.
Bandazhevsky, Youri: scienziato specializzato in anatomia patologica. Ex direttore dell'Istituto Medico di
Gomel (Bielorussia). A causa delle sue ricerche sul disastro di Chernobyl fu arrestato nel giugno 2001 e condannato da un tribunale militare a 8 anni di lavori forzati
[3].
Amnesty International ne riconobbe lo status di "prigioniero di coscienza". In seguito alla mobilitazione diplomatica di diversi Paesi della CEE, fu rilasciato nell'agosto 2005. Oggi vive e lavora in Ucraina.
Blix, Hans: diplomatico e politico svedese. Direttore Generale dell'IAEA dal 1981 al 1997. L'8 maggio 1986 fu il primo occidentale a volare sopra ai resti del reattore.
Bocharov,
Lev: professore di geologia alla
Voronezh State University. Contribuì alla realizzazione del sarcofago.
Gorbaciov, Mikhail: segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica dal 1985 al 1991. Premio Nobel per la Pace nel 1990.
Grebenyuk, Vladimir: nel 1986 colonnello della Difesa Civile. Lui ed i suoi uomini furono i primi militari ad intervenire sul luogo del disastro.
Kostin, Igor: reporter dell'agenzia Novosti, unico fotografo al Mondo presente sul luogo del disastro di Chernobyl il 26 aprile 1986.
Nadejina, Natalia: nel 1986 medico all'Ospedale Numero 6 di Mosca, dove furono ricoverati molti dei sopravvissuti affetti da malattia da radiazione. Oggi ricercatrice presso l'Istituto di Biofisica di Mosca e autrice di alcuni articoli relativi agli effetti delle radiazioni sugli esseri umani.
Nesterenko,
Vassili: fisico. Ex direttore dell'Istituto di Energia Nucleare all'Accademia Nazionale delle Scienze della Bielorussia. Per le sue ricerche sulle conseguenze del disastro di Chernobyl perse il lavoro e fu minacciato di internamento in un istituto psichiatrico. Fondatore nel 1990 dell'
Institute of Radiation Safety "BELRAD". Sfuggì a due tentativi di omicidio e morì nel 2008.
Tarakanov,
Nikolai: nel 1986 comandante delle truppe di terra, a giugno fu incaricato delle operazioni di pulizia per sigillare il reattore numero 4 all'interno del sarcofago.
Yaroshinskaya,
Alla: giornalista e attivista anti-nucleare. Eletta nel 1989 deputato del Supremo Soviet dell'URSS, sfruttò la sua posizione per indagare sugli effetti del disastro di Chernobyl. Vincitrice nel 1992 del
Right Livelihood Award, autrice di centinaia di articoli e numerosi libri sulla minaccia nucleare.
Note
[1] Secondo i resoconti ufficiali, il magma a contatto con l'acqua avrebbe potuto generare devastanti esplosioni di vapore, capaci di diffondere ulteriormente il materiale radioattivo. Tuttavia l'ipotesi presentata nel documentario è più drammatica e controversa: si parla infatti della possibilità di una catastrofica esplosione termo-nucleare, cento volte più potente di quella di Hiroshima, che avrebbe ricoperto di polveri radioattive l'Europa.
[2] Il numero delle vittime direttamente imputabili al disastro di Chernobyl è da decenni fonte di dibattito. Le statistiche ufficiali sono estremamente caute a riguardo.
[3] L'accusa ufficiale mossa al professor Bandazhevsky, evidentemente infondata, è di aver chiesto denaro per ammettere uno studente all'università. Amnesty International ha dichiarato: "Generalmente si crede che la sua condanna sia in relazione alle ricerche scientifiche sulla catastrofe di Chernobyl e alla sua aperta critica alla risposta ufficiale data alla gente nella regione di Gomel".
Link
-
Bandazhevsky, Yuri - Wikipedia (EN)
-
Blix, Hans - Wikipedia (EN)
-
Chernobyl: Confessions of a Reporter - Amazon.com (EN)
-
Chernobyl Disaster - Wikipedia (EN)
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Chernobyl Forum - Wikipedia (IT)
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Disastro di Chernobyl - Wikipedia (IT)
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Gorbaciov, Mikhail - Wikipedia (IT)
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Institute of Radiation Safety "BELRAD" (EN)
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Kostin, Igor - Wikipedia (EN)
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Legasov, Valery - Wikipedia (EN)
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Liquidatori - Wikipedia (IT)
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Nesterenko, Vassili - Wikipedia (EN)
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Pripyat - Wikipedia (IT)
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PRIX Italia (IT)
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Right Livelihood Award - Wikipedia (IT)
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The Battle of Chernobyl - YouTube (EN)
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Tula City - Russiatrek.org (EN)
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Yaroshinskaya, Alla - The Right Livelihood Award (EN)
E così ci appaiono davanti agli occhi uomini dal volto liquefatto, nudi, con la pelle che si stacca dai muscoli, che vagano ciechi per le strade della città ridotta in macerie, soffocata dagli incendi e avvolta in una notte prematura.
O i pazienti dell'ospedale, scampati all'esplosione, ma non all'effetto letale delle radiazioni: agonizzanti in un letto, soffocati dalle emorragie, con la pelle piagata e i capelli che cadono, mentre i medici assistono impotenti.
O le ombre di chi, dalla bomba, è stato ridotto in cenere.