giovedì 29 aprile 2010

Nel Paese delle Creature Selvagge

Carol: Tu eri il loro Re e hai sistemato tutto quanto?

Max: Sì.

Carol: E cosa hai fatto per la solitudine?

Douglas: In altre parole terrai lontana la tristezza?

Max, dopo aver combinato un guaio, fugge di casa con indosso un costume da lupo, attraversa la foresta e, giunto in riva al mare, sale su una barca e si perde tra i flutti.
Dopo un giorno di navigazione approda in una strana isola, abitata da ancora più strane creature: esseri dall'aspetto di animali, grotteschi, sproporzionati, dominati per lo più dagli istinti, ma dotati di sentimenti e di coscienza.
Queste creature selvagge, che Max impara a conoscere, sono spesso tristi, angosciate, spaventate, bisognose di qualcuno che dica loro cosa fare nella vita e che corregga i loro sbagli.
Max diventa Re dell'isola, convinto di poter rendere felici i suoi nuovi amici e di impedire che si feriscano a vicenda, ma, nonostante i suoi buoni propositi, i suoi tentativi falliscono uno dopo l'altro ed egli si rivela per quello che è in realtà: un bambino con un costume da lupo che finge di essere un Re.

Chi è convinto che questo film sia una favola per bambini si ritroverà davanti qualcosa di completamente diverso: una storia, triste e straziante nelle sue conclusioni, che riflette come una specchio ciò che cova nel profondo di ogni uomo: c'è una creatura selvaggia in ognuno di noi.


Post scriptum: nel segnalare il film di Spike Jonze ho voluto riscrivere parola per parola la recensione (che ho pubblicato su Anobii) del libro "Le Creature Selvagge" di Dave Eggers. L'ho fatto perchè ho visto il film alla luce del romanzo, le emozioni che mi ha suscitato sono le medesime e non ho parole migliori per esprimerle. Dave Eggers ha scritto il romanzo basandosi sulla sceneggiatura del film, ma consiglio a chiunque sia interessato a quest'opera di seguire il mio stesso percorso. Molti dettagli andrebbero altrimenti perduti.

mercoledì 28 aprile 2010

Una smemorata verità

In questi giorni l'attenzione mediatica è concentrata sui tentativi di fermare la marea nera prodotta dall'esplosione e dal successivo affondamento della piattaforma DeepWater Horizon nel Golfo del Messico: una corsa contro il tempo per evitare un cataclisma ecologico.

Appena tre settimane fa la notizia dell'arenamento del cargo cinese Sheng Neng I sulla Grande Barriera Corallina Australiana era in primo piano su tutti i telegiornali. Oggi, con sconcerto, mi sono reso conto che, dopo la ribalta dei primi giorni, dell'incidente non si è più parlato.
Tutte le persone a cui ho chiesto delucidazioni in proposito non hanno saputo dirmi niente.

Che fine ha fatto la nave cinese?

Il disastro ecologico è stato evitato?

Visto che i media principali hanno dato poco o nullo risalto alle conseguenze dell'incidente è logico presupporre che tutto si sia risolto per il meglio: niente di più sbagliato.
Dopo una breve ricerca in rete ho scoperto che le conseguenze dell'incidente sono state gravissime.

Prima di parlare di ciò che è accaduto, voglio però fermarmi un attimo a riflettere su questo silenzio mediatico. A quanto pare il ruolo dei media tradizionali (su cui la maggior parte delle persone comuni basa la propria conoscenza del Mondo) non è informare, ma fare sensazione. E così accade che, notizie che meriterebbero di essere approfondite, vengano sommerse da insignificanti fatti di cronaca e presto dimenticate. Mi riferisco ovviamente al modo di fare informazione in Italia, ma lo stesso accade anche in altre parti del Mondo, come spiega molto bene Al Gore nel suo saggio "L'assalto alla ragione". Quando l'informazione viene manipolata con l'obiettivo di aumentare gli ascolti (e non solo) ciò che ne risulta non può essere altro che una visione parziale, distorta e frammentaria del Mondo.
Gli esempi si sprecano.
Si può parlare per mesi e mesi del delitto di Cogne o della strage di Erba, ma dei genocidi che si consumano in Africa non si sa niente finché qualche cittadino occidentale non viene coinvolto.
Se George Clooney inciampa su una buccia di banana lo vengono a sapere anche gli asini, ma delle testate nucleari depositate nelle nostre basi militari non sa niente nessuno.
Dell'LHC si parla solo quando qualche buffone salta fuori a dire che la Terra potrebbe essere inghiottita da un buco nero, ma domandate a un passante che esperimenti fondamentali per la conoscenza dell'Universo si compiano al CERN: non ve lo saprà dire.
Nell'era dell'informazione l'ignoranza regna sovrana.

Torniamo ora all'incidente della Sheng Neng I: la nave arenata è stata liberata con il favore dell'alta marea e trasportata al sicuro nel porto di Great Keppel, ma secondo David Wachenfeld, lo scienziato capo dell'autorità marina australiana, per risanare i danni causati all'ecosistema marino occorreranno 20 anni.

Oltre allo sversamento in mare di tre tonnellate di carburante, la nave ha infatti scavato un lungo canale nella barriera, distruggendo enormi porzioni di ecosistema. In alcune zone la parete della barriera si è letteralmente polverizzata sotto il peso della nave. Si teme inoltre per l'inquinamento causato dalla vernice tossica applicata allo scafo per impedirvi la crescita delle specie marine, che sta lentamente uccidendo i coralli.

La polizia australiana ha avviato un'inchiesta, su richiesta della Great Barrier Reef Marine Park Authority, che gestisce la riserva, e ha arrestato il capitano e un ufficiale di comando della nave, che dovranno essere processati per aver imboccato una rotta illegale attraverso il parco marino, come appurato dal ministro dei trasporti australiano, Anthony Albanese, e ammesso dalla Shenzen Energy Transport Company.

Gli armatori saranno responsabili dei costi di salvataggio e decontaminazione (stimati intorno ai 23 milioni di dollari), ma intanto il danno, definito "senza precedenti", è fatto e ciò che la natura ha creato in decine d'anni è stato distrutto in poche ore.

Fine della storia.

Per la foto: © Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati

martedì 27 aprile 2010

Una seccante verità

A cosa serve fare la spesa con la borsa di tela?
A cosa serve chiudere il rubinetto dell'acqua quando si lavano i denti?
A cosa serve spegnere gli apparecchi elettrici in stand-by?
A cosa serve diminuire il proprio consumo di carne rossa?
A cosa serve sostituire le lampadine ad incandescenza con equivalenti a basso consumo?
A cosa serve uscire di casa a piedi o in bicicletta?
A cosa serve adottare a distanza un cucciolo di foca?
A cosa serve firmare una petizione contro la caccia selvaggia?
A cosa serve?

Quando poi accade questo...

L'immagine sopra riportata, ripresa dal satellite Aqua della Nasa, mostra la zona del Golfo del Messico interessata dalla fuoriuscita di petrolio seguita all'esplosione e all'affondamento della piattaforma DeepWater Horizon. La perdita si stima in 42000 galloni (190000 litri) al giorno, le possibilità di interromperla in tempi brevi sono incerte, i possibili danni agli ecosistemi marini e terrestri dalle spiagge della Florida alle paludi della Louisiana non calcolabili.

Se le previsioni degli esperti sono corrette la marea nera raggiungerà le coste della Louisiana entro la giornata di sabato.

© Vernon Merritt Iii, Dead bird covered with crude oil.
-aggiornamenti sull'incidente forniti dal NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration)

lunedì 19 aprile 2010

I problemi di un mondo (fisicamente) interconnesso

Il blocco del traffico aereo conseguente all'eruzione dell'Eyjafjallajökul rappresenta un disagio più o meno grave per le persone rimaste a terra, una fonte di preoccupazione per chi basa su questo mezzo di trasporto i propri affari ed il proprio lavoro e un durissimo colpo per il commercio internazionale.

Per me, che me ne sto comodamente seduto in poltrona davanti al pc, è invece un ottimo spunto di riflessione.

C'è qualcosa che non va nella nostra società, una debolezza intrinseca che di anno in anno si manifesta in forme diverse, ma accomunate dalla stessa radice: crisi, che fino a qualche decennio fa sarebbero rimaste confinate a livello locale, si trasformano in problemi internazionali.
L'aumento dell'interconnessione fisica tra le nazioni, la diminuzione delle distanze tra i luoghi, la trasformazione delle risorse (finanziarie, naturali, commerciali) da locali a "globali" offre ad un numero sempre maggiore di persone possibilità che prima erano riservate ad un'élite, ma al tempo stesso l'effetto di ogni perturbazione locale si trasmette in ogni angolo del globo.

Possiamo così mangiare fragole d'inverno, gustare sushi e frutti tropicali da Mosca a Rio De Janeiro, prendere voli low-cost per trascorrere un romantico weekend a Parigi, acquistare a prezzi stracciati t-shirt tessute in India, tinte in Cina e vendute su Ebay da un rivenditore nordamericano, fare il pendolare da Roma a Vancouver.

Ma dobbiamo anche temere per la nostra incolumità quando terroristi mediorientali riescono a prendere il controllo di aerei a New York, treni a Madrid, convogli della metropolitana a Londra, perdere il lavoro in Spagna in seguito all'esplosione di una bolla speculativa immobiliare negli Stati Uniti, ammalarci di febbre suina in Australia dopo due settimane che un virus influenzale proveniente dal Messico è stato ormai trasportato da viaggiatori infetti in ogni nazione occidentale, osservare preoccupati rivolte alimentari nelle nazioni in via di sviluppo dopo che gli Stati Uniti hanno fornito sussidi per la produzione di bio-etanolo, assistere impotenti al tracollo del commercio e ad ingenti perdite finanziarie quando un'eruzione vulcanica in Islanda costringe a terra gli aerei.

Il mondo sta diventando sempre più piccolo. I problemi che lo affliggono sempre più grandi.

Ma questi sono solo i sintomi di una malattia che deve ancora manifestarsi nel pieno del suo vigore. In passato civiltà sono sorte e sono cadute. Nazioni un giorno fiorenti sono precipitate nella polvere. Popoli sono spariti lasciandosi alle spalle solo romantiche rovine nella giungla. Ma nessuno degli esempi del passato sembra esserci servito da monito. E ora stiamo costruendo una grande civiltà globale, basata sulle stesse (fragili) fondamenta del mondo che ci ha preceduto: il libero mercato, il mito della crescita illimitata in un pianeta limitato, la mancanza di equilibrio.
La società globalizzata è un immenso castello costruito sulla sabbia, abitato da 7 miliardi di persone e al cui crollo (se e quando avverrà) nessuno potrà sottrarsi.

In un Mondo strettamente intrecciato cosa accadrà quando le risorse idriche e alimentari non potranno più soddisfare le richieste di paesi emergenti come Cina e India? Quando nazioni sull'orlo del fallimento precipiteranno nel caos? O quando a causa del raggiungimento del picco del petrolio il costo delle materie prime schizzerà alle stelle?

Le risposte le lascio trovare a voi.

Essere consapevoli della fragilità della nostra società è utile?
Io ho una certezza, l'ho maturata nel corso degli anni e per ora niente è riuscito a farmi cambiare idea. Il mondo occidentale così come lo conosciamo oggi non sopravviverà ancora a lungo: o cambierà o si autodistruggerà. La violenza della trasformazione dipenderà dalle nostre scelte, dalla reversibilità o meno di alcuni dei fenomeni classificati sotto il nome "globalizzazione".
Tuttavia non sono fiducioso. Nel 1972 scienziati e industriali di tutto il Mondo si riunirono al Club di Roma e stilarono un rapporto per definire i limiti dello sviluppo della civiltà umana, che seguendo i trend analizzati all'epoca non sarebbe potuto durare per più di un secolo. Questo incontro fu una prima grande opportunità di cambiamento, ma venne sprecata. Sono passati quasi 40 anni: niente è cambiato. Anzi, col passare degli anni l'idea di frenare lo sviluppo è diventata sempre più assurda. E l'orologio continua a ticchettare... TIC TAC TIC TAC

Link:
-Jared Diamond, Collasso, Einaudi, 2007
-Bill McKibben, Sconfiggere il mito della crescita, Le Scienze n. 500, aprile 2010

lunedì 12 aprile 2010

Oltre al global warming...

Nel suo articolo "Limiti per un pianeta sano", comparso sul numero di Aprile de Le Scienze, Jonathan Foley, direttore dell'Institute of Environment dell'Università del Minnesota, elenca in modo conciso i principali processi ambientali che l'intervento antropico sta irrimediabilmente alterando (o ha già alterato) e che potrebbero scatenare crisi ambientali globali e minacciare la sopravvivenza stessa della specie umana.

Al di là del concetto di punto di non ritorno, che ha suscitato un acceso dibattito, è a mio parere molto interessante la tabella in cui sono elencate le conseguenze dell'alterazione di questi processi. Riguardo ad esse c'è un generale accordo e la tabella riassume efficacemente la gravità della situazione. Come appare subito chiaro, tale scenario è ben diverso da quello presentato dai media all'opinione pubblica, concentrato quasi esclusivamente sul problema del cambiamento climatico e, in misura minore, su quello della perdita di biodiversità.

  • Perdita di biodiversità --> collasso degli ecosistemi terrestri e marini

  • Ciclo dell'azoto --> espansione delle zone morte in laghi e mari

  • Ciclo del fosforo --> alterazione delle catene alimentari marine

  • Cambiamento climatico --> scioglimento di ghiacciai e poli; alterazioni climatiche locali

  • Uso del suolo --> collasso dei biomi

  • Acidificazione degli oceani --> morte di microrganismi e coralli; riduzione dell'assorbimento del carbonio

  • Consumo di acqua dolce --> danni a vegetazione e colture

  • Riduzione dell'ozono della stratosfera --> danni da radiazione su umani, animali e piante


Ogni voce meriterebbe un approfondimento, ma già l'elenco dà una vaga idea dei rischi a cui la nostra civiltà sta andando incontro. Il Tè del Cappellaio Matto non durerà per sempre, presto o tardi le tazzine finiranno.

martedì 6 aprile 2010

Darwin non aveva ragione. Lo dicono anche gli atei...

...e per colpa sua la cena mi è andata di traverso.

Purtroppo mi è capitata tra le mani la pagina "culturale" de Il Giornale del 3 aprile, con un bell'articolo (si fa per dire)
contro la teoria dell'evoluzione e zeppo di falsità scritto da Roberto de Mattei (storico del Cristianesimo, vice-presidente del CNR, direttore di riviste spazzatura come "Radici Cristiane" e, ultimo ma non meno importante, famigerato creazionista) .

Mi chiedo spesso (e non penso di essere l'unico) perchè Roberto de Mattei ricopra ancora la carica che gli è stata conferita. E' una situazione imbarazzante. Le sue affermazioni anti-evoluzioniste, prive di qualsiasi fondamento scientifico, avrebbero dovuto causare la sua espulsione immediata a calci nel sedere dall'ente, ma si sa: questa è l'Italia!
Da quando Mussolini ha firmato i Patti Lateranensi, la laicità dello Stato è andata all'Inferno e così i soldi dei contribuenti, tanto per dirne una, vanno a finanziare convegni contro uno dei pilastri della biologia moderna. Ma non solo: i pensieri e le opinioni di chi non dovrebbe nemmeno insegnare ad un branco di scimmie vengono pubblicati sulle pagine di scienza di uno dei quotidiani a maggiore tiratura nazionale.

VERGOGNA.


Andiamo ora ad analizzare brevemente l'articolo in questione.

L'attacco alla teoria di Darwin rispetta tutti i trucchetti a cui i creazionisti ricorrono sempre più spesso per dare credibilità alle loro opinioni, ma questa volta de Mattei supera sè stesso e,
nel tentativo di mettere in cattiva luce l'evoluzione, da bravo cattolico si appoggia addirittura alle idee di due positivisti. Ridicolo!

La principale strategia di ripiego dei creazionisti è far credere che la teoria dell'evoluzione sia scientificamente controversa (cosa assolutamente falsa: l'evoluzione non è un'ipotesi, è UN FATTO, attestato da migliaia di osservazioni) ed evitare di parlare (o parlare il meno possibile) dell'alternativa. De Mattei scrive che "l'evoluzionismo è un ibrido connubio tra una teoria filosofica e una teoria scientifica" (sono davvero esterrefatto...) e, come avrete notato leggendo l'articolo, a parte un breve aneddoto iniziale, la teoria di Fodor e Palmarini è appena citata.

Attaccare l'evoluzione dicendo che non è confermata da dati scientifici (o che addirittura è in conflitto con essi) è un altro classico dei creazionisti e de Mattei segue alla lettera la regola, arrivando addirittura ad affermare che prove paleontologiche confutano la teoria darwiniana, quando è vero l'esatto opposto. Ma andiamo avanti...

Il creazionismo è una tale baggianata che, anche cambiandogli il nome in intelligent design, nessuna persona dotata di un minimo di raziocinio è portata a crederci. Così la strategia più audace dei creazionisti è non parlare affatto di creazionismo, nossignori, ma dire semplicemente che l'evoluzione è una teoria in crisi. Ovviamente non è vero, ma qui de Mattei è davvero scaltro!
Di solito ogni prova contro l'evoluzione diventa una prova a favore del creazionismo, invalidare l'una significa convalidare l'altra. De Mattei è più furbo. Visto che questo trucco ormai è abusato inserisce una terza-teoria-che-non-si-capisce-bene-di-che-parli, così ogni prova contro l'evoluzione, dato che la-terza-teoria-insomma-l'abbiam-capito-che-è-una-stronzata, finisce col diventare una prova a favore del creazionismo (vedi ultimo paragrafo dell'articolo). Beccato! Anche con i baffi finti un creazionista-cattolico-fino-all'osso si riconosce sempre!

Usare le argomentazioni secondo cui l'evoluzione sia il semplice frutto del caso (secondo de Mattei è uno degli argomenti più efficaci per confutare l'evoluzionismo darwiniano) o che essa sia un processo graduale, dal più semplice al più complesso, dal peggiore al migliore, lo ritengo un insulto all'intelligenza dei lettori. L'evoluzione è il cambiamento senza sosta dei viventi per effetto di mutazioni genetiche casuali sottoposte all'azione della selezione naturale, ma evidentemente de Mattei fa un po' di confusione. Da un certo punto di vista è giustificato: dimenticavo infatti che è uno storico, non un biologo. L'ignoranza è lecita (ma non apprezzata).

Mi fermo qua. Le scempiaggini riportate in questo articolo sono tante e tali che a rileggerle mi viene il voltastomaco. Le considerazioni finali sugli schemi e sulle forme sono nel migliore dei casi mal poste. Il paragrafo finale è la summa di tutte le falsità.

Il giorno in cui de Mattei verrà licenziato stapperò una bottiglia, ma quel giorno non arriverà mai abbastanza presto.

"Si può affermare con sicurezza, che se si incontra una persona che afferma di non credere nell'evoluzione, quella persona è ignorante, stupida o malata di mente (o in malafede, ma preferirei non occuparmene)."

Richard Dawkins, L'ignoranza non è un crimine

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